La cattura in Abruzzo  e il tragico destino di Corradino di Svevia 

La Battaglia di Tagliacozzo o di Scurcola Marsicana? Il saggio “L’aquilotto insanguinato” riapre il dibattito storico

NAPOLI . Un “matrimonio” fra l'autore e il personaggio del quale si racconta la tragica fine, un saggio storico che si intreccia con l’autobiografia e conduce alla conoscenza, con linguaggio agile, dell’ultimo rampollo degli Svevi, Corradino, giustiziato a 16 anni, in Piazza Mercato a Napoli.
Nel giudizio di Paola Villani, direttore del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università Suor Orsola Benincasa, vi è la sintesi del lavoro su Corradino del giornalista Lino Zaccaria, “L’aquilotto insanguinato” (grausedizioni, pp. 170, €15) espresso in un incontro di presentazione nel chiostro della Basilica del Carmine, dove è custodita la tomba del giovane Hohenstaufen decapitato in quella che fu la Piazza del Moricino, e al quale hanno partecipato lo scrittore e storico di Napoli Maurizio Ponticello, lo scrittore Mauro Giancaspro, coordinati dalla giornalista e scrittrice Santa Di Salvo. Anni e anni di ricerche, di consultazione delle fonti: un lungo lavoro che si è tradotto nella biografia di Corradino di Svevia (prefazione di Pietro Gargano), il ragazzo principe che tentò invano di riprendersi il trono che era stato del nonno, Federico II, e del padre Corrado IV. «Quel trono», spiega Zaccaria, «era stato sottratto agli Svevi dal Papa, che aveva approfittato delle morti improvvise di Federico e di Corrado e aveva insediato a Napoli e in Sicilia Carlo d'Angiò, il fratello del re di Francia. Un’usurpazione vera e propria. I ghibellini d’Italia convinsero così il giovane erede svevo, Corradino, ad armare un esercito e a tentare di riconquistare quell’Italia del Sud che la bisnonna, Costanza di Altavilla, aveva ceduto al figlio Federico II».
Ma la sua non fu un’impresa fortunata. Accolto con grandi onori nelle città ghibelline e a Roma, si scontrò con l’esercito di Carlo d’Angiò a Scurcola Marsicana, in Abruzzo («e non a Tagliacozzo, come dice Dante» sottolinea l’autore). Una battaglia cruenta, conclusa con la sconfitta di Corradino, che tentò invano la fuga. Catturato in circostanze ancora non del tutto chiarite fu consegnato a Carlo d’Angiò che lo fece portare a Napoli e, in circostanze anche queste non del tutto chiarite, lo fece condannare a morte. L’esecuzione avvenne il 28 ottobre del 1268. Spiega Zaccaria in pagine scorrevoli, piene di suspence e scritte con una prosa scarna, aderente allo stile giornalistico dell’autore e «con un modo di fare storia fluido e avvincente», come ha detto Giancaspro: «Quel giovane principe, bello e biondo, ancora ragazzino cadde sotto la mannaia del boia e davanti agli occhi atterriti di migliaia di napoletani chiamati ad assistere a quel tragico spettacolo. La dinastia sveva perse così per sempre i suoi domini italiani». Una morte avvenuta in un luogo simbolo della città. Come ha rilevato Ponticello: «Si potrebbe scrivere la storia di Napoli restando in questo stesso posto».