Quando i profughi fiumani illuminarono il calcio abruzzese

di Andrea Rapino Francesco Giuseppe Kanz a 36 anni non pensa di poter giocare ancora a calcio seriamente. È il 1947, e come tanti italiani ha lasciato l’Istria e la Dalmazia diventate territorio...

di Andrea Rapino

Francesco Giuseppe Kanz a 36 anni non pensa di poter giocare ancora a calcio seriamente. È il 1947, e come tanti italiani ha lasciato l’Istria e la Dalmazia diventate territorio jugoslavo sotto il regime comunista di Tito: sicuramente ha tutt’altro genere di problemi nel campo profughi di Roio Pineta, vicino L’Aquila, dove trova riparo. Invece qui inizia la sua seconda giovinezza sportiva.

L’Aquila, che nella stagione 1947-’48 è iscritta al campionato di Serie C, ha bisogno di un portiere, e lo va a pescare proprio a Roio. Probabilmente in città si è anche sparsa la voce che, tra i connazionali fuggiti dalla Jugoslavia titina, c’è una vecchia gloria della Fiumana. Infatti Kanz in Abruzzo non deve essere un assoluto sconosciuto per i più appassionati di calcio: negli spareggi per l’accesso in Serie B del 1941 è lui a difendere la porta degli amaranto, inseriti nello stesso girone del Pescara, e che alla fine salgono nella divisione cadetta insieme ai biancazzurri.

Nato a Fiume nel 1911 e costretto all’esodo dopo la seconda guerra mondiale, Kanz si ritrova nella nostra regione, e tra tante ristrettezze e difficoltà riceve una valida mano dalle sue capacità di calciatore. La sua storia, come quelle di tanti giocatori fiumani più o meno celebri, è stata raccontata da Luca Dibenedetto in un volume sull’epopea del calcio fiumano. Per l’anagrafe Kanz si chiama Francesco Giuseppe: i genitori di origini ungheresi gli danno il nome dell’imperatore d’Austria, ma in famiglia e in città per tutti è Pepi. Negli anni migliori della sua carriera Pepi Kanz viene elogiato per il coraggio nelle uscite uno contro uno, quando si getta senza paura sui piedi degli attaccanti avversari.

Si distingue anche nell’atletica leggera, tanto che, oltre a ben figurare nel salto in alto, vince un titolo provinciale di staffetta. Nel 1934 Pepi tenta la fortuna nella Penisola, ma dopo un anno nelle file del Potenza, in Serie C, torna sulle rive dell’Adriatico, dove si guadagna faticosamente il posto da titolare. Non è facile, perché deve vincere prima la concorrenza di Stefano Raicovich, numero uno per eccellenza della Fiumana, e poi di Tullio Dapretto, esperto portiere prelevato dal Grion Pola.

Il suo momento arriva sulla soglia dei trent’anni e nella fase più cruciale della stagione, quando la squadra deve affrontare gli spareggi per tornare in B dopo undici anni: le parate di Pepi Kanz nella decisiva sfida con la Borzacchini Terni diventano leggenda a Fiume. Quando pensa di aver appeso le scarpe al chiodo ed è costretto a lasciare la città, all’Aquila rinasce come portiere. Questo il ruolo che lo aiuterà anche in seguito: infatti grazie alla International Refugee Organization emigra in Canada, dove le sue doti in porta gli permettono di trovare lavoro in una fabbrica, perché nello stabilimento cercano un portiere per la squadra aziendale! Quella Fiumana che tra gli anni Trenta e Quaranta lotta per risalire in B è la fucina di un altro paio di atleti che fanno la fortuna di squadre abruzzesi nel Dopoguerra.

Uno dei più noti è Mario Laurencich, che sempre grazie a un campo di raccolta di profughi dalmati e istriani arriva a Chieti. Laurencich è un calciatore sia dell’ultima Fiumana italiana sia della prima squadra jugoslava della città, il Kvarner Rijeka: in serbocroato rispettivamente nome della regione Quarnero e nome slavo di Fiume. Classe 1920, Laurencich è un mediano longilineo e ben messo fisicamente: uno dai piedi buoni, di quelli capaci di impostare l’azione e fare assist.

Nella famiglia, di origine triestina, gli danno il nome del nonno, del quale si racconta che avesse inventato le mine antiuomo, ma senza depositarne il brevetto; l’invenzione fa la fortuna di chi si impossessa dei suoi disegni, e Mario senior muore di crepacuore. L’11 agosto del 1946 Laurencich, con la maglia del Kvarner, esordisce nel primo campionato jugoslavo post bellico, ribattezzato Prva Liga, che sarà vinto dal Partizan Belgrado; l’ultima partita invece la gioca a Spalato il 21 marzo 1948, perché subito saluta la sua terra.

Dopo trattative con varie squadre, rimedia un ingaggio in Serie C a Cesena, dove si distingue giocando 23 partite e mettendo a segno sei gol. La moglie Norma però vuole avvicinarsi ai genitori, che soggiornano in un campo profughi a Chieti. E così Laurencich viene ingaggiato dai neroverdi, ai quali dà un contributo importante per la promozione in Quarta Serie nel 1951. Si stabilisce nel capoluogo teatino, dove viene assunto alla Cartiera Burgo e muore improvvisamente nel 1996: fino ad allora resta comunque un grande appassionato di calcio, al punto che se non c’è una partita a Chieti o a Pescara, la domenica si sposta in altre città abruzzesi.

Prima di Laurencich arrivano in Abruzzo altri fiumani, che però si accasano alla Virtus Lanciano. Il più noto è Ferruccio Starcich, ala sinistra esile e scattante con buon fiuto del gol, veloce e abile nel dribbling. Starcich ha sei anni meno di Laurencich, ma con lui condivide i primi due campionati del Kvarner Rijeka, legando tra l’altro il proprio nome a un momento storico dello sport quarnerino postbellico: segna la rete decisiva della prima vittoria esterna “jugoslava” del calcio fiumano, 0-1 in casa dello Željezniar Sarajevo il 23 marzo del 1947.

Presto però viene anche per Ferruccio il momento dell’addio: il 6 ottobre 1948 a Trieste passa il confine con le lacrime agli occhi, e dopo poche settimane scende già in campo con la Virtus Lanciano. Ritrova Laurencich in capo, e per due anni dà vita a una sorta di derby nel derby quando si affrontano Lanciano e Chieti.

Con la retrocessione dei rossoneri nel 1951 si conclude l’esperienza abruzzese di Starcich: tra le società di Serie C che se lo contendono la spunta la Fermana, prima che Oscarre Spadavecchia, fiumano con trascorsi in Serie A, lo convinca a raggiungerlo a Fabriano. Una volta svestita la divisa da calciatore, Ferruccio Starcich si trasferisce per lavoro a Milano. Oltre a lui però la Virtus in questi anni ingaggia anche il fratello più piccolo Vittorio, che troviamo nelle cronache come Starcich II, di ruolo terzino, ma impiegato soprattutto nella squadra riserve tra il 1949 e il 1951.

Con gli Starcich arriva a Lanciano anche un altro terzino, Alberico Cvetnich Margarit, che milita con poca fortuna nella Virtus nel 1948-49, prima di stabilirsi a Torino. Cvetnich Margarit a Fiume ha giocato in squadre minori, ma il suo legame è particolarmente stretto con Mario Laurencich poiché è a lui che fare il padrino di battesimo del figlio Vieri.

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