Quel giorno che a Tagliacozzo tramontò il sogno imperiale di Corradino di Svevia 

Nel 2018 ricorrono i 750 anni dalla battaglia in cui fu sconfitto Carlo D’Angiò Ma lo scontro finale avvenne fra Scurcola, Magliano e Cappelle dei Marsi

TAGLIACOZZO. Il 23 agosto 1268 Corradino di Svevia, ultimo rampollo legittimo della famiglia degli Hohenstaufen, viene sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo da Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia, Luigi IX. E' la fine della dinastia sveva in Italia. Svanisce così il sogno, coltivato da Federico II e da Manfredi, rispettivamente nonno e zio di Corradino, di unificare il nostro Paese. Ma dove s'infranse realmente quel sogno?
Teatro della battaglia non fu Tagliacozzo, come comunemente è conosciuta, ma la pianura (Piani Palentini) compresa tra Scurcola Marsicana-Magliano dei Marsi-Cappelle dei Marsi. A consegnarla alla storia con questa denominazione fu Dante Alighieri nella Divina Commedia: "E là da Tagliacozzo/ove senz'armi vinse il vecchio Alardo" (canto XXVIII dell'Inferno). Il "là da" vuol significare che la battaglia si è svolta a una certa distanza da questa città, allora la più importante della Marsica. I versi di Dante, che quando c'è stata la battaglia aveva appena tre anni, rivelano l'impiego da parte di Carlo, su suggerimento di Alardo (Erardo) di Valery, della tattica dell'imboscata, che gli consentì di sconfiggere Corradino. Una tattica pressoché sconosciuta in Europa, ma molto praticata in Oriente, specie dai turchi, che Erardo aveva appreso durante le Crociate. Consisteva nel fare appostare un drappello di cavalieri scelti che, al momento opportuno, balzava fuori e piombava sul nemico, tra le cui fila, per effetto della sorpresa, creava sbandamento, preludio alla sconfitta.
Sullo schieramento dei due eserciti, gli storici non sono concordi. Secondo alcuni (Gregorovius, Oman, Salvatorelli) l'esercito di Carlo occupava la parte destra del fiume Imele-Salto, con alle spalle Magliano dei Marsi; quello di Corradino la parte sinistra, con alle spalle Scurcola Marsicana. Secondo altri (Febonio, Antinori, Herde) i due eserciti avrebbero operato a destra dell'Imele-Salto, tra Cappelle dei Marsi e Magliano. E il fiume, di cui parlano le fonti e presso il quale si è svolta la battaglia, non sarebbe l'Imele-Salto, ma il torrente Riale, oggi quasi completamente scomparso.
Se si accetta la prima ipotesi, la località dove Carlo occultò il contingente, sarebbe la collinetta dove oggi sorge Magliano. Se si accetta la seconda, sarebbe la collina di Alba Fucens, che sovrasta Cappelle. Corradino, la cui discesa in Italia era stata sollecitata dai ghibellini (partigiani dell'imperatore), per vendicare la sconfitta di Manfredi, avvenuta, sempre ad opera di Carlo d'Angiò a Benevento, il 26 febbraio 1266, parte, non ancora sedicenne, alla testa di un esercito, da Augusta (Baviera), nell'agosto del 1267. Dopo una sosta a Verona e Pisa, nel luglio del '68 giunge a Roma, accolto festosamente. Mentre il Papa fugge a Viterbo. Il 18 agosto lascia Roma alla volta dell'Abruzzo.
Carlo, che a luglio era stato impegnato a sedare la rivolta dei saraceni di Lucera, sostenitori degli svevi, avendo appreso dei piani di Corradino, i primi di agosto abbandona le Puglie e il 14 agosto è già nei pressi di Scurcola. Ha quindi tutto il tempo di preparare il piano della battaglia. Corradino giunge nei Piani Palentini invece nel pomeriggio del 22, percorrendo sembra la valle del Salto. Il giorno dopo i due eserciti si danno battaglia. Di quello di Corradino fanno parte tedeschi, spagnoli e ghibellini. Di quello di Carlo, francesi, provenzali e guelfi (partigiani del Papa).
Delle tre schiere angioine, solo due scendono in campo. L'altra, con Carlo, si nasconde. A capo di una delle due schiere, che affrontano Corradino, c'è Enrico di Courance, cui Carlo, per trarre in inganno gli svevi, affida le insegne regali. Le sorti della battaglia volgono a favore di Corradino. Ben presto le schiere angioine vengono messe fuori combattimento. Enrico di Castiglia, senatore di Roma, che combatteva tra le fila di Corradino (era cugino di Carlo, ma lo odiava e aveva giurato di ucciderlo perché l'angioino non gli aveva restituito una grossa somma di denaro avuta in prestito), avvistato l'emblema del giglio, e credendo si trattasse di Carlo, si avventa contro. Enrico di Courance viene disarcionato e ucciso. A questo punto gli svevi, credendo di aver vinto la battaglia, commettono una grave imprudenza: sciolgono le file e si danno al saccheggio. E' allora che il drappello, composto da circa 800 cavalieri, balza dal nascondiglio e coglie di sorpresa l'esercito svevo. E' una strage. Dell'imboscata, però, Carlo non fa cenno nella lettera inviata la sera stessa al Papa, per annunciargli la vittoria. Probabilmente per non essere accusato di combattimento sleale. Sapeva, infatti, che la tattica da lui adottata violava le norme cavalleresche medioevali.
Corradino riesce a fuggire. Arrestato però ad Astura, vicino a Nettuno, da Giovanni Frangipane, signore del luogo, mentre tenta di raggiungere per mare la fedelissima Pisa, viene consegnato a Carlo, che lo conduce in catene a Napoli. Qui è rinchiuso nel Castel dell'Ovo. Il 29 ottobre, alla presenza di una folla indignata e in tumulto, a Piazza del Mercato, Corradino viene decapitato.
Le spoglie riposano nella basilica di Santa Maria del Carmine, dove si può ammirare il monumento dello sventurato principe, opera dello scultore danese Albert Thorwaldsen. Enrico di Castiglia, che tanta parte ha avuto nella battaglia, riesce a fuggire anche lui. Ma viene catturato vicino a Rieti e trascorre gran parte della sua vita in prigione. A rendere così aspra la battaglia di Tagliacozzo hanno concorso motivi dinastici e religiosi. Per i ghibellini, Carlo era un usurpatore del Regno di Sicilia, spettante legittimamente a Corradino. Carlo a sua volta, in quanto discendente di Carlo Magno, riteneva che quella corona gli spettasse di diritto. Mentre poi l'angioino era nelle grazie del Papa; Corradino, come del resto tutti i suoi predecessori, era stato raggiunto dalla scomunica. La battaglia è stata giudicata anche come fonte di discordia franco-tedesca.
La crudele sorte toccata a Corradino suscita ancora oggi commozione. Vari poeti, dai Minnesanger tedeschi del XII e XIII secolo al nostro Aleardi (era "un giovinetto/pallido, e bello, con la chioma d'oro) ne hanno cantato la giovinezza stroncata.
Tagliacozzo, al contrario di Scurcola, non gli ha dedicato neppure una strada.
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