Storia di Jesse, il ragazzo che un giorno non si svegliò 

L’attrice americana Marianne Leone ha scritto la commovente storia del figlio Lo presenta a Sulmona dove sono le radici della sua famiglia e a Montesilano

Jesse Cooper è un ragazzo allegro e appassionato, uno studente modello, innamorato del windsurf e della poesia. Jesse è affetto da una grave forma di paralisi cerebrale e non riusciva a parlare. Vive intensamente i suoi diciassette anni, sebbene sia affetto da una gravissima disabilità: è tetraplegico, non può parlare e soffre di continue crisi epilettiche. Una mattina di gennaio del 2005, quando la madre lo va a chiamare per portarlo a scuola, Jesse non si sveglia.
La madre di Jesse si chiama Marianne Leone, è un’attrice (ha recitato in Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese e nella serie tv I Soprano) ed è la moglie di un attore vincitore del Premio Oscar (nel 2003 per Il ladro di orchidee), Chris Cooper. Marianne e Chris, i genitori di Jesse, saranno oggi a Sulmona e domani a Montesilvano per presentare la storia del loro sfortunato figlio. Una storia raccontata da Marianne Leone in un libro intitolato Jesse (256 pagine, 18 euro), pubblicato in Italia dalla casa editrice Nutrimenti.
Per Marianne Leone, l’incontro di oggi, nella sede della Comunità montana di Sulmona (alle 18), è una sorta di ritorno a casa. Viene da Sulmona, infatti, la famiglia dell’attrice, nata a Boston negli Stati Uniti, 65 anni fa. Domani mattina, invece, la coppia di attori incontrerà gli studenti del liceo scientifico Corradino D’Ascanio di Montesilvano.
«”So che un giorno lo troverò morto nel suo letto”», aveva scritto, nel suo diario, Marianne Leone, qualche anno prima di quel terribile giorno del 2005. Il libro è una riflessione su quella consapevolezza coltivata nel tempo e, poi, sul vuoto lasciato dalla morte del figlio, che diventano però un'occasione per ripercorrere 17 anni di faticosi successi e di quotidiane vittorie contro i pregiudizi. Negli Stati Uniti il libro ha avuto consensi quasi unanimi. Per il Los Angeles Times, l’opera della Leone è «la storia di tre persone coraggiose in lotta per la dignità. Un libro bello e toccante».
«Jesse», ha scritto l’Huffington Post americano, «non è soltanto la storia di un bambino disabile, ma è la testimonianza di come si può andare avanti dopo che un terremoto ti ha squarciato il cuore».
Davide Ferrario, il regista italiano di film come Guardami e Tutti giù per terra, è un amico di famiglia di Marianne e Chris e ha conosciuto Jesse. Ferrario ha scritto l’introduzione al libro.
«Questo libro», scrive il regista, «racconta di come chi abbia avuto il coraggio, la costanza, anche la rabbia di varcare quella soglia si sia ritrovato più vicino al senso del mondo. Ha scoperto qualcosa che ha a che fare con l’amore, l’appartenenza, e la terribile aleatorietà della vita umana. Jesse è stato un dono per tutti».
«Ma questi sono i pensieri del poi», aggiunge Ferrario. «Dentro la quotidianità, fai piccoli gesti banali. Quel giorno regalai a Jesse la maglia della mia squadra di calcio, l’Atalanta. Ci sono un sacco di foto di Jesse in nerazzurro, sorridente, negli anni successivi. Il caso ha voluto che la sua ultima notte avesse addosso un’altra t-shirt che gli avevo regalato, quella di un mio film, Anime fiammeggianti».
«Nel destino», scrive ancora Ferrario, «non c’è un senso: nonostante le consolazioni offerte dalla filosofia e dalla religione, bisogna pur avere il coraggio di ammettere che, in vita, non avremo una risposta logica soddisfacente al perché le cose sono come sono e accadono come accadono. La stessa malattia di Jesse è inspiegabile. Non c’è nessuno con cui prendersela, nessun capro espiatorio – anche se poi questo non significa affatto rassegnazione, come dimostra la seconda parte del libro, che descrive tutte le incredibili peripezie e battaglie per riconoscere a Jesse l’educazione che si meritava. Di fronte alla disgrazia c’è solo un senso di ineluttabilità, seguita dalla più alta forma di consapevolezza: quella che Gadda chiamava “La cognizione del dolore”. Dentro questo abisso ci si può perdere; anzi, talvolta è perfino accattivante lasciarsi travolgere dalla sua onda nera. C’è solo un modo per combattere ad armi pari col male e non uscirne sconfitti: è scriverne. Leggete questo libro come una terapia», scrive infine Davide Ferrario. «Una terapia per la scrittrice e per i lettori».
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