Storia e misteri  del Santuario Maria della Libera 

Il docente dedica alla splendida chiesa di Pratola  il saggio sull’Architettura sacra dell’800 in Abruzzo

C’è la Storia, che nel tempo si impone sulle storie – di vita e di fede – che accompagnano la costruzione di grandi opere e fa loro ombra. Nel libro fresco di stampa “Architettura sacra dell’Ottocento in Abruzzo. Pratola Peligna e il santuario di Maria ss. della Libera” la ricostruzione dell’impresa che portò alla realizzazione di questa splendida chiesa, grazie alle storie che l’autore individua e racconta, diventa un romanzo.
Si tratta della prima pubblicazione dedicata ad una delle chiese più importanti costruite nella nostra regione tra la metà del XIX e l’inizio del XX secolo. Il libro, scritto per la Di Felice Edizioni di Martinsicuro da Raffaele Giannantonio, professore dell’Università “D’Annunzio” di Chieti-Pescara con il contributo di Cosimo Savastano, Antonio Martinelli, Paolo Petrella e Luigi Paolantonio e la prefazione di Cettina Lenza, docente dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, è la prima trattazione completa di quello che è un monumento artistico e sociale eretto nel «secolo d’oro della cultura abruzzese» (Vittoriano Esposito), quando nella stessa Pratola nasceva Antonio De Nino, archeologo ed antropologo cui molto dovette Gabriele D’Annunzio.
Quella di Raffaele Giannantonio non è una pubblicazione di carattere specialistico quanto dunque un vero e proprio romanzo di architettura ambientato nella fase storica in cui l’operoso centro peligno vive un importante progresso di tipo sociale riscontrabile nella costruzione di infrastrutture (l’acquedotto, le fontane, la stazione ferroviaria, il cimitero) che lo emancipano dalla cronica arretratezza del Mezzogiorno d’Italia. La chiesa è un’espressione di popolo: il progettista è uno studente di ingegneria che torna a Pratola Peligna per le vacanze e regala al suo paese i disegni che verranno sviluppati da altri protagonisti rimasti anonimi. EusebioTedeschi, questo il nome del progettista, muore infatti giovanissimo a Napoli, ma la sua opera viene realizzata da costruttori ed artigiani tutti pratolani che interpretano il loro lavoro per il Santuario come atto di pura devozione. L’edificio sviluppa la sua architettura tra due momenti storici e altrettanti fuochi stilistici: da una parte il Neoclassicismo napoletano preunitario, dall’altra l’Eclettismo che caratterizza il panorama urbano del nuovo Stato. Alla fine del secolo il salto di qualità: arriva nel cantiere Teofilo Patini con il suo allievo pratolano Amedeo Tedeschi per affrescare cupola e volte mentre il costruttore Luigi Di Loreto chiama nel Santuario i Feneziani, famiglia di stuccatori aquilani il cui linguaggio jugensdstil si esprime non solo nella chiesa ma anche in molte facciate di palazzi di Pratola, che della cittadina, che diviene così una sorta di unicum nell’intero contesto regionale.
Di questo e di altro ancora parla il libro di Raffaele Giannantonio, un autore che ha dedicato gran parte della propria attività scientifica e di studioso a dimostrare come, nel secolo di Rossetti, Tommasi, Colecchi, Croce, d’Annunzio, De Nino, Pansa, Michetti, Patini, Tosti e tanti altri, l’architettura fu testimone vibrante della capacità di ascolto e di dialogo della cultura abruzzese con il resto d’Italia.
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