Alla scoperta dei segreti di Collemaggio

La Vittorini (Soprintendenza): contiamo di riaprire a dicembre, interventi sui 14 pilastri. Saranno revisionati gli affreschi

L’AQUILA. L’appuntamento è qualche metro prima alla porta Santa, dove c’è un box per gli indumenti. Il caschetto non riesce a stare fermo sulla testa e le scarpe da cantiere sono un po’ grandi. Senza non è possibile entrare a Collemaggio, uno dei monumenti più “blindati” della città.

«Una scelta necessaria affinché le opere proseguano a ritmi serrati e la basilica possa essere riconsegnata a dicembre» spiega la soprintendente dell’Aquila e cratere, Alessandra Vittorini che, a poco più di un anno dall’inizio delle opere, ci accompagna all’interno della chiesa insieme alla storica d’arte, Biancamaria Colasacco e al direttore dei lavori, Antonello Garofalo. Il sole caldo di fine marzo illumina la facciata laterale, l’unica accessibile. Appena varcata la soglia, il rumore dei trapani e l’odore di polvere sembrano riempire lo spazio, coperto in gran parte da impalcature cielo-terra.

«Per realizzarle», dice Garofalo, «è stato necessario un progetto». La ragnatela di scale di metallo e pianerottoli copre il perimetro interno: scompaiono dal campo visivo i colori, gli stucchi, le decorazioni di quella Collemaggio che gli aquilani hanno ancora impressa nella retina. Un esercito di quasi quaranta operai lavora tutto il giorno, anche undici ore, per riportare la basilica all’antico splendore, quello che si intravede tra un tubo e l’altro da sopra le impalcature, dove è possibile ammirare gli angoli più nascosti di un monumento dai mille segreti, in cui ogni pezzo di pietra racconta una storia. È la storia che pazientemente stanno cercando di riscrivere i tecnici impegnati nel lavoro di restauro e consolidamento e che di questa immensa struttura conoscono anche i pertugi. Il terremoto, d’altra parte, qui non ha fatto sconti: il 6 aprile 2009 sono crollate le volte del transetto, gli arconi trionfali, il tamburo e la cupola. Danni enormi che il colosso dell’energia Eni ha deciso di riparare in appena due anni di lavoro con un ingente finanziamento. «Ero incredula», racconta la Vittorini, «due anni sarebbero un record anche per un piccolo aggregato, figurarsi per un’opera del genere». Eppure Eni sembra assolutamente intenzionata a mantenere le promesse. D’altra parte moltissimo è già stato fatto.

PILASTRI. «Il primo intervento è stato quello dei pilastri di navata: 14, sei dei quali avevano riportato i maggiori danni», spiega Garofalo. «Per questi è stato previsto lo smontaggio completo, la sostituzione di tutti i conci in pietra danneggiati e irrecuperabili e il rimontaggio. I due pilieri, che implodendo hanno causato il crollo del transetto, sono stati completamente ricostruiti con un’anima metallica, mantenendo quando possibile il rivestimento esterno lapideo».

MURATURE. È stata poi la volta del consolidamento delle murature con iniezioni e interventi di “cuci e scuci”. «Un particolare intervento cosiddetto reticulatus è stato necessario in alcuni punti», continua l’architetto.

STUCCHI. «L’attenzione è concentrata anche sugli stucchi. «Di un barocco settecentesco per le due cappelle laterali, secentesco per la cappella dell’Abate», spiega la Colasacco. «Mentre restauriamo studiamo, mettiamo a confronto queste due realtà».

ALTARI. «Lavoreremo sulla cappella del Santo e sugli altari settecenteschi e seicenteschi», continua la storica dell’arte, «bisognerà revisionare gli affreschi e lavorare sulla pietra intesa sia come pavimento, sia come altari lapidei, marmi, balaustre e mausoleo del Santo».

FACCIATA. Anche la facciata, seppur già oggetto di restauro prima del terremoto, dovrà essere oggetto di intervento. «Daremo un protettivo», conclude la Colasacco, «vorrei anche intervenire sui portoni che sono veri e propri capolavori». Niente sarà lasciato al caso, insomma, perché dalle ferite la basilica possa trarre una nuova vita.

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