«Aquilani, basta con i piagnistei Altrimenti l’Italia volta pagina»

Il richiamo dello scrittore Mieli all’inaugurazione dell’anno di studi dell’Accademia di Belle arti «Serve più fiducia nel futuro, e i politici non facciano soltanto la corsa alla loro riconferma»

L’AQUILA. «Basta con i piagnistei, altrimenti il resto d’Italia volta pagina, metaforicamente parlando, e non sta neanche più a sentire quello che chiedete». Ha bacchettato così gli aquilani, con poche parole, il giornalista e storico Paolo Mieli, ieri nel capoluogo per inaugurare il nuovo anno accademico 2016-2017 dell’Accademia di Belle arti e presentare il suo ultimo libro “In guerra con il passato, le falsificazioni della storia”. Il noto giornalista, direttore prima della Stampa e poi del Corriere della Sera, non si è sottratto alle domande dei cronisti prima di dare il via all’incontro con gli studenti dell’Accademia.

Come legge le continue difficoltà dell’Aquila negli ultimi anni?

«Lo stress qui è notevole, ma L’Aquila è la città più allenata del mondo a cadere in ginocchio e rialzarsi, cadere in ginocchio e rialzarsi. Alla fine questa cosa porterà del bene alla città. Questa storia finirà bene».

Nel suo testo si parla di falsificazione della storia. C’è il rischio che anche la storia del terremoto possa essere falsificata?

«Penso di no, perché credo che l’informazione all’Aquila, nel suo complesso, fatto di carta stampata, televisioni, radio e web, sia davvero molto ricca e documentata. L’unica cosa che aggiungerei è una nota di fiducia nel futuro: non ci si può sempre lamentare, fare il piagnisteo, perché penso che il resto d’Italia, se derubrica tutto al pianto dell’Aquila, volta pagina, metaforicamente parlando, e non sta neanche più a sentire».

Cosa dire ai giovani, che vivono un momento di preoccupazione rispetto al futuro?

«Sempre i giovani hanno avuto la preoccupazione del futuro, non c’è mai stato un momento nella storia mondiale in cui questo non è accaduto. Penso che il futuro di questo terzo millennio sia un futuro pieno di opportunità: metà della popolazione mondiale è passata dalla fame assoluta a poter vivere. Abbiamo fatto negli ultimi anni, quelli della globalizzazione (uso un termine molto criminalizzato), dei passi in avanti di cui non teniamo conto. Sarei più ottimista nel futuro. Poi dirò agli studenti di studiare, di consultare ancora i libri, di non fidarsi totalmente del web. Pensare che questo attrezzo che ci portiamo in tasca risolva ogni problema, è una semplificazione che non aiuta il cervello».

Al centro del suo testo c’è la figura di D’Annunzio. Come lo descriverebbe?

«D’Annunzio è un grandissimo artista, un grandissimo poeta, tentato continuamente dalla politica. Ma è meglio che gli intellettuali continuino a fare gli intellettuali e non si mettano in testa di fare politica o di godere troppo della scena pubblica».

E oggi, i politici di questa terra come dovrebbero comportarsi?

«Quando ci sono crisi a ripetizione, com’è successo in Abruzzo, circolano molti soldi e bisogna ricordarsi di uno dei comandamenti: non rubare. La cosa che potrebbe più nuocere all’Abruzzo sarebbe il venir fuori di scandali. Provocherebbe anche uno scollamento forte dell’opinione pubblica. In secondo luogo bisogna fare non piani demagogici per dare delle risposte ingannando se stessi e l’opinione pubblica, ma piani a lungo termine, 10 o 20 anni. Guardare lontano. Uno dei rimproveri che mi sentirei di muovere in genere alla classe dirigente, non solo quella dell’Abruzzo, è di fare piani a breve: pensare alle elezioni, pensare a essere riconfermati o promossi non basta».

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