Frode coi pascoli fantasma Azienda agricola nei guai 

Aiuti dall’Unione europea (160mila euro): la Corte dei conti indaga due allevatori Hanno dichiarato di possedere terreni nell’Aquilano e di aver trasferito animali 

L’AQUILA. La cosiddetta “mafia dei pascoli”, di cui da anni si parla anche per la zona dell’Aquila, continua a materializzarsi in atti giudiziari. L’inchiesta è della Procura della Corte dei conti di Trento ma la “frode” all’Unione europea sarebbe stata possibile grazie a pascoli “fantasma” nell’Aquilano.
Nel mirino ci sono due allevatori di Trento, il titolare di un’azienda agricola e un suo dipendente (o presunto tale) che nel 2010 (e fino al 2014) sarebbe diventato imprenditore e avrebbe ottenuto soldi che la Ue stanzia per i giovani agricoltori. Per dimostrare di essere un vero imprenditore agricolo al giovane fu attribuita (falsamente secondo la Procura) la disponibilità di terreni per il pascolo in Abruzzo il cui contratto d’uso era però stato sottoscritto da una terza persona. La Corte dei conti (dopo le indagini della Finanza) ha accertato, scrive il Corriere del Trentino, che gli animali del presunto neo imprenditore non erano stati mai trasferiti nell’Aquilano. Insomma un giochetto che ha portato nelle casse dell’allevatore trentino, ideatore della “frode”, quasi 160.000 euro. Sulla vicenda c’era stata un’inchiesta penale che si è chiusa per prescrizione. È invece andata avanti l’indagine della Corte dei conti che ora ha citato a giudizio i due allevatori, i quali in caso di condanna dovranno restituire i soldi.
Un altro elemento decisivo per l’indagine è stato che il giovane imprenditore in realtà riceveva uno stipendio di circa 2.000 euro al mese e quindi di fatto si trattava di un dipendente che peraltro prima non aveva mai fatto l’agricoltore né l’allevatore. La notizia si è diffusa anche all’Aquila perché l’articolo i n questione è stato postato su Facebook dalla docente dell’università del capoluogo Lina Calandra che nell’ambito di una attività di ricerca condotta da maggio 2017 a marzo 2019 dal Laboratorio Cartolab dell’Univaq scoprì l’esistenza della mafia dei pascoli anche sul nostro territorio. In uno dei suoi saggi così la professoressa Calandra spiega il meccanismo: «La mafia dei pascoli prende forma sul territorio secondo varie fattispecie a seconda degli attori coinvolti e dei contesti, e interessando diversi piani, ma con uno stesso obiettivo: gli aiuti europei al settore agricolo. La storia comincia con la riforma della politica agricola del 2003 che introduce il disaccoppiamento degli aiuti diretti: il contributo europeo, cioè, non è più legato alla produzione ma viene concepito come sostegno al reddito dei produttori che quindi sono liberi di decidere se e cosa produrre. Non agganciandosi più alle varie produzioni, per ottenere il pagamento dell’aiuto comunitario, viene introdotto il diritto all’aiuto calcolato sulla base del valore medio dei pagamenti percepiti da ogni agricoltore nel periodo di riferimento triennio 2001-2003. Tale valore, diviso per il numero medio degli ettari utilizzati nel periodo di riferimento, definisce il titolo all’aiuto. Per ottenere il pagamento dell’aiuto, il titolo si aggancia a un ettaro di terreno; le aree ammissibili possono essere quelle destinate a colture annuali ma anche a pascolo. Per appoggiare il titolo su quanti più ettari possibili, si scatena la corsa all’accaparramento dei pascoli anche perché, nel contempo, prende forma un mercato (o meglio, un traffico) dei titoli».
Nel caso nel mirino della Corte dei conti di Trento si tratta di aiuto a giovani imprenditori ma il “giochetto” sul possesso dei pascoli è di fatto lo stesso. (g.p.)