La strada che conduceva al lago Fucino

Via Mazzarino era lo snodo centrale per l’accesso al centro della città

La drammatica esperienza del vettore di Luco costretto a rimuovere a mano i detriti per trasportare al cimitero i corpi delle vittime del terremoto del 1915
 
AVEZZANO. Per onorare la memoria di Mazzarino, artefice della politica europea del Seicento, la Città di Avezzano gli intitolò una delle strade più importanti della città. Via Mazzarino portava (e porta ancora) da via Marco Antonio Colonna al largo che fu poi chiamato piazza Cavour in ricordo dello statista piemontese. Da Piazza Cavour iniziava e inizia anche via Pereto, una strada che fu aperta sul finire dell’Ottocento per facilitare coloro che, dal quartiere San Nicola, dovevano recarsi verso il Fucino senza attraversare per intero Via San Francesco e piazza Castello.

 IL COLLEGAMENTO. Da questa piazza, inoltre, aveva inizio via Nuova, fatta costruire dai Colonna perché si potesse raggiungere rapidamente il sito ove era stato costruito un porticciolo posto sulle sponde del lago ove si traevano (in latino trahere) a riva le barche e che, perciò, fu chiamato Trara. Via Mazzarino era la strada più breve per chi, proveniente da Luco e Trasacco, desiderava giungere rapidamente nel centro della città: piazza Vittorio Emanuele, piazza Umberto e la chiesa di San Bartolomeo.

IL TRASPORTO.
Nella foto a fianco di via Mazzarino prima del terremoto, si nota la sommità del campanile della chiesa di San Bartolomeo e un mezzo di trasporto di persone trainato dai cavalli, una specie di omnibus dell’epoca: lo stesso mezzo si nota osservando altre vedute dell’antica città. Il servizio di trasporto fu organizzato sul finire dell’Ottocento e nel 1907 il sindaco Amorosi stabilì il tragitto e le soste necessarie.

LE FERMATE.
La corsa dalla Stazione conduceva ai seguenti punti della città e viceversa: piazza Torlonia, Albergo della Vittoria, Casa Leonelli, piazza Castello, strada Marcantonio Colonna, piazza Centrale, Posta. Il provvedimento amministrativo stabiliva un compenso di centesimi 0,15 per la corsa diurna e 0,20 per quella notturna. Il viaggiatore che desiderava esser portato a domicilio avrebbe dovuto pagare il doppio della corsa ordinaria, con il diritto di portar con sè nell’omnibus il bagaglio personale del peso e volume accettato dalle Ferrovie. Il servizio di trasporto, inizialmente organizzato da un certo Cialente, fu prima rilevato dalle famiglie Campana e De Luca (dette dei Santàri) e, poco prima del terremoto, dai De Bernardinis (noti come Cocci). I Santàri avevano la casa e le sottostanti stalle per i cavalli necessari all’attività di trasporto, all’inizio della vecchia via Vezzia, dove ora via Mazzini e via Marconi si incontrano con piazza della Repubblica.

L’UFFICIO POSTALE.
L’Omnibus doveva fermarsi in via Mazzarino perché qui era l’ufficio postale situato al piano terra del palazzo di proprietà di Alessio Sebastiani. Così come ci raccontava Maurizia Mastroddi, un’appassionata e competente professionista prematuramente scomparsa, la costruzione era di due piani (mancava quello sotterraneo) e comprendeva 12 vani. Il piano terreno, ove aveva sede l’ufficio postale, era costituito da 3 ampi locali e un androne; il primo piano, adibito a civile abitazione, comprendeva 8 ambienti. La facciata esterna non era ancora completamente terminata, ma era stata già realizzata la zoccolatura in pietra da taglio lavorata, gli stipiti e gli architravi, pure in pietra da taglio bugnata, fino all’altezza dell’intero piano terreno.

IL RACCONTO.
Pompeo Micocci, un anziano luchese sopravvissuto al sisma, nel 1985 raccontava come, dipendente dell’impresa del cavalier Paolo Ciocci, incaricato dal Commissario civile commendator Secondo Dezza per il trasporto di cadaveri dalla città al cimitero, proveniente da Luco dei Marsi con un carro trainato da cavalli, fu costretto ad attraversare via Mazzarino: la strada era quasi impraticabile per le mura crollate degli edifici circostanti e per i numerosi cadaveri che qualcuno, pietosamente, aveva momentaneamente adagiato sul nudo terreno. Per poter proseguire doveva, poco alla volta, aiutato da altri lavoranti, sgombrare con le nude mani le pietre ed i calcinacci. Dopo il terremoto l’ufficio del Genio Civile, celermente ed appositamente istituito ad Avezzano per far fronte alle impellenze del momento, provvide a demolire le parti pericolanti di tutti i fabbricati: dell’edificio postale rimasero in piedi soltanto i muri del piano terreno (sebbene gravemente lesionati), ancora oggi ben visibili.