Mafia e appalti all'Aquila, coinvolti dieci abruzzesi

I sospetti degli investigatori: hanno favorito l'arrivo delle cosche all'Aquila. Negli atti si parla di alcune cene per organizzare i primi contatti con gente del posto. Ora si cercano altre persone conniventi

L'AQUILA. L'inchiesta della procura antimafia dell'Aquila sulle infiltrazioni delle cosche calabresi negli appalti per la ricostruzione lascia presupporre uno scenario più complesso di quello che inizialmente si poteva ipotizzare dopo gli arresti di quattro persone per concorso esterno in associazione mafiosa. Infatti ora spuntano una decina di sospettati.

Si tratta, ed è questo l'aspetto inquietante, per lo più di aquilani e di abruzzesi di altre province i cui nomi compaiono nelle informative che gli investigatori hanno fornito di recente ai magistrati.

Va detto che si tratta di persone che non hanno avvisi di garanzia ma che comunque adesso sono sotto la lente di ingrandimento di squadra mobile guardia di finanza e i loro nomi sono presenti nelle voluminose carte dell'indagine: non meno di quattro faldoni con dentro un mare di intercettazioni.

Più in particolare sono soggetti che avrebbero avuto dei rapporti con gli indagati calabresi e individuati da loro come punti di riferimento in un territorio da conquistare. Gente che si sarebbe messa a disposizione per far proliferare delle iniziative imprenditoriali a tutto campo. Ma anche per dare loro una mano a sistemarsi logisticamente nell'Aquilano o in altre zone della regione visto che i sospettati non sono solo del capoluogo d'Abruzzo.

Un giro di connivenze che non ha stupito gli investigatori a fronte della consapevolezza che ci sono tracce di malavita organizzata all'Aquila sono solo prima del terremoto ma addirittura del 2007. E, pertanto, gli appalti privati per il terremoto sono stati un incentivo in più per potenziare la presenza del clan calabrese che secondo la polizia fa capo a Santo Giovanni Caridi, Giovanni Zindato, Carmelo Gattuso e Pasquale Giuseppe Latella. Tra gli obiettivi, infatti, oltre agli appalti c'erano anche la gestione di discoteche e altre attività imprenditoriali.

E il reclutamento avveniva spesso anche alla presenza di personaggi di spicco della cosca. Un aquilano, inconsapevole dei soggetti con i quali stava intessendo rapporti, racconta di cene in un ristorante fatte nel Teramano. «Ricordo» dice «che in più occasioni all'interno del ristorante ho notato tavolate di persone alcune delle quali di accento calabrese e in particolare la presenza del Caridi e di Pasquale della Lypas costruzioni. Ricordo che quando andavo a cena con Massimo Maria Valenti era quasi sempre lui a pagare il conto o meglio era lui che si alzava dal tavolo e si allontanava in direzione della cassa».

«Delle volte», prosegue la deposizione, «ho notato che tra le persone dall'accento calabrese presenti nel ristorante ci fossero dei cenni di saluto come tra persone conoscenti».

Insomma, secondo la tesi degli investigatori, ancora tutta da dimostrare, si stavano gettando in tutti i modi le basi per queste infiltrazioni.

Non è possibile, secondo le forze dell'ordine, che tutte quelle attività in cantiere potessero essere avviate e supportate soltanto dagli indagati Stefano Biasini, Antonino Vincenzo Valenti, Massimo Maria Valenti e Francesco Ielo di cui solo il primo aquilano e gli altri calabresi. Di lì la convinzione che comunque ci fossero altre persone di supporto. Fermo restando, va detto anche questo, che al di là delle iniziative diversificate solo poche cose sono andate a buon fine. Gli appalti presi hanno riguardato poche migliaia di euro visto che non riguardavano i condomini inagibili classificati E. Inoltre le stesse attività commerciali non sono mai partite. Del resto in più di una intercettazione Biasini (che si proclama innocente) fa capire ai suoi interlocutori di non avere molti soldi in tasca.

La manette, però hanno fatto saltare in aria le trattative per appalti in almeno una dozzina di condomini E. E in quel caso il giro sarebbe stato di milioni.

Le indagini vanno avanti con il lavoro della squadra mobile, diretta da Fabio Ciccimarra dello Sco, diretto da Sabatino Romamo e dai vari reparti della guardia di Finanza al comando del colonnello Giovanni Domenico Castrignanò. Il 9 gennaio, infine, tribunale del riesame sulla scarcerazione di Biasini e Valenti.

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