Mani sulla città, i sospetti di Cialente

Il timore è che gli appalti comincino a far gola ad affaristi senza scrupoli

L'AQUILA. La trama è quella del film «Le mani sulla città» di Francesco Rosi. Lo sceneggiatore è il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente che lancia messaggi un po' "sbiascicati" ma inequivocabili.

Innanzitutto facciamo il riepilogo delle puntate precedenti. Il sindaco Massimo Cialente l'8 marzo scorso preso da un attacco di panico si dimette. Vede tutto nero: i consiglieri comunali della sua teorica maggioranza lo sbeffeggiano e gli votano contro. Il suo partito il Pd non lo difende. Il governo lo ignora (anche il suo amico Gianni Letta un po' si defila). La gente lo guarda storto attribuendogli tutti i guai dell'Aquila passati, presenti e futuri. E allora lui prende cappello - anzi cappotto - e se ne va: beh adesso sono fatti vostri (la frase esatta era un'altra).

Poi dopo un paio di giorni comincia a vedere che c'è la fila per andare a trovarlo a Canossa (casa sua) dove si è rifugiato. Massimo di qua, Massimo di là, Massimo non ci lasciare. Lui un po' si commuove, un po' continua e tenere il broncio. Il 17 marzo il bagno di folla in piazza Palazzo ed è lì che decide che deve tornare a fare il sindaco «per non lasciare in mano la città agli affaristi». Piano piano cominciano a venire fuori le vere ragioni delle sue dimissioni. Non c'entra la maggioranza in consiglio comunale, non c'entra il rimpasto di giunta, non c'entra il suo partito. O se c'entrano sono solo effetti collaterali. C'entra invece il fatto che lui comincia a temere di stare per diventare la foglia di fico per chi con la ricostruzione dell'Aquila vuole arricchirsi alle spalle degli aquilani terremotati ricorrendo a tutti i mezzi mascherati da mezzi leciti.

E allora con la sua tecnica - molto democristiana - del dire e non dire comincia a far trapelare qual è il suo cruccio. Prima fa capire che il problema è la struttura commissariale (Chiodi, Cicchetti, Fontana) che bloccherebbe ogni iniziativa del Comune per accelerare la rinascita dell'Aquila (è ormai nota la polemica fra piani di ricostruzione sì - Chiodi-Fontana - e piani di ricostruzione no - il Comune). Poi in due interviste al Centro a al Tg3 Abruzzo tira fuori il rospo. Alla collega Marina Marinucci dice testualmente: «Gli aquilani sono persone pazienti che sanno capire le situazioni. Il problema vero sono le persone arrivate da fuori, quelle che intervengono spesso a gamba tesa e che trattano gli aquilani come dei sudditi». E inoltre: «Io credo che questa inspiegabile perdita di tempo a cui stiamo assistendo impotenti sia legata al tentativo di azzerare la volontà del Parlamento che, su nostra richiesta, si è pronunciato a favore dell'indennizzo e non del contributo che avrebbe aperto la strada ai grandi appalti e ai grandi affari. Insomma, c'è chi ad arte sta creando ostacoli alla ricostruzione, solo per poter giustificare il ritorno al contributo».

A Daniela Senepa del Tg3 ribadisce lo stesso concetto. L'indennizzo consente al privato di affidare direttamente gli appalti. Il contributo invece prevede appalti di livello europeo che potrebbero essere "preda" di grandi imprese nazionali e internazionali. Dunque la questione come al solito è legata agli affari, altro che ricostruzione sociale, economica e tutte le belle parole buttate in pasto all'opinione publica come fumo negli occhi. Cialente a questo punto però dovrebbe essere un po' meno sibillino e fare nomi e cognomi di chi non vuole bene alla città. Se no, apparirà come quello che butta il sasso e nasconde la mano.

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