Vecchioni all’Ateneo spiega a torso nudo Prometeo ai giovani 

Il cantautore a 76 anni parla su un tavolo senza camicia «Anche L’Aquila sa rialzarsi dalle ferite del terremoto»  

L’AQUILA. Fa un certo effetto vedere Roberto Vecchioni, 76 anni compiuti, salire a torso nudo su un tavolino dell'aula magna di Scienze umane dell'Ateneo aquilano. Cantautore, scrittore, poeta e professore di latino e greco, da oltre trent’anni, nelle scuole superiori e poi nelle università, è stato protagonista dell'incontro conclusivo della terza edizione di “Gong-Oh!”, la rassegna concepita sulla scia della celebre canzone di Paolo Conte.
Una proposta artistica a cura dall’associazione L’Idea di Cleves, con la collaborazione del Club Tenco e con il Premio Pigro, assegnato nel ricordo di Ivan Graziani. Dopo l'omaggio di Francesco Baccini a Luigi Tenco, il focus sulle canzoni di Mogol, alla presenza dell'autore, oltre allo spettacolo di Andrea Scanzi per Giorgio Gaber, è toccato a Vecchioni tirare le fila sulla rassegna. “La Geometria della felicità”, questo il titolo della lezione, basata sul libro “La vita che si ama” (Einaudi), ma anche sull'ultimo concept album “L'Infinito” e su alcune sue canzoni che hanno fatto la storia della musica leggera italiana. Tanti i riferimenti mitologici e letterari, a partire dal mito di Prometeo, raccontato da Vecchioni senza maglia e canottiera, per imitare la condizione di Prometeo, imprigionato da Zeus su una fredda montagna del Caucaso, legato a una colonna. Il povero Prometeo diventa così la vittima dell’aquila dello stesso Zeus, che si ciba della sua carne. «Prometeo regala agli uomini il fuoco dell'arte, ma anche la possibilità di scegliere», ha detto Vecchioni, affiancato sul palco da Federico Vittorini, Paolo Talanca e dalla professoressa Valeria Merola. «Lo insegnano i greci, anche attraverso questo mito: nessuno è libero se non è padrone di sé e la felicità è anche fatta di questo, come se Dio avesse messo nel superamento del dolore la possibilità di essere felici e guardare avanti. Vale anche per L'Aquila, che ha nel Dna la forza di rialzarsi dopo le ferite del sisma».
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