Giuseppe, 100 anni di ricordi «Ero il partigiano ragazzino» 

La Liberazione raccontata da uno degli ultimi combattenti della Banda della Duchessa

TORNIMPARTE. Compirà cento anni tra poco più di un mese, il prossimo 27 maggio, ma negli occhi ha ancora impresse le immagini di quel 25 aprile del 1945, dei festeggiamenti, degli abbracci e dei brindisi, dal sapore inconfondibile della libertà.
Giuseppe Pesce è uno degli ultimi partigiani in vita, della temutissima brigata della Duchessa. Il 28 agosto 1943, appena 19enne, dopo aver scattato una foto ricordo insieme ai suoi genitori, quella che sarebbe potuta essere l’ultima, partì alla volta di Cervignano del Friuli, come soldato. Andava in guerra. In realtà solo pochi giorni dopo, l’8 settembre, arrivò anche lì la notizia dell’armistizio di Cassibile, firmato il 3 settembre nella località siciliana, che prevedeva la resa incondizionata dell'Italia e la fine dell’alleanza con la Germania di Hitler. Giovanni così, dopo un lungo viaggio, tornò a Rocca Santo Stefano di Tornimparte, dai suoi genitori, dove pensava di essere al sicuro.
TRA FREDDO E FAME. «Mai avrei immaginato quello che stava accadendo» racconta. «I tedeschi prendevano tutti i giovani e li mandavano in Germania. Avevamo paura e per sfuggire alle retate decidemmo di nasconderci sulle montagne».
Cominciava così, più per timore che per eroismo, l’anno più duro della vita di Giuseppe, quello vissuto come partigiano. «Eravamo un manipolo di ragazzi» dice, «forse una quindicina, con a capo Luigi Marrone. Qualcuno aveva ancora qualche arma, altri come me, stavano sulle montagne cercando di non essere scoperti. Abbiamo sofferto il freddo, ma soprattutto la fame».
IL DEPOSITO. Tornimparte è lungo la vallata che dai monti Velino e della Duchessa sfocia nella piana dell’alta valle Aterno. La zona montagnosa e boschiva, a cavallo tra l’Aquilano e la Marsica, era all’epoca di secondaria importanza per i collegamenti. Le prime truppe tedesche nell’ultima decade di settembre giunsero nell’area istallando un deposito di munizioni (Manfred) tra Genzano e Casavecchia di Lucoli.
Tornimparte all’inizio non vide una occupazione stabile, ma a più riprese i tedeschi salivano da Sassa per requisire animali e generi alimentari. E a causa della vicina presenza del deposito, il paese fu oggetto di bombardamento alleato. Durante la guerra si nascosero tra Tornimparte e Lucoli più di 700 ricercati dai tedeschi (ex prigionieri e rifugiati politici, tra cui il viceprefetto Angelo Vicari, uno dei funzionari che avevano arrestato Mussolini, divenuto poi capo della Polizia), alcuni dei quali entrarono a far parte della banda della Duchessa che agiva nella zona e che si dedicava soprattutto al sabotaggio del deposito di munizioni e delle rotabili.
I RIFUGI DEI PASTORI. «Una donna ci portava, quando poteva, il cibo in un posto segreto, sulle montagne. Quando riuscivamo andavamo a prenderlo. Ma siamo rimasti senza mangiare anche per molti giorni», continua Pesce. «Vivevamo nei rifugi dei pastori, ma non restavamo mai in un punto fisso per ragioni di sicurezza. Avevo una coperta che portavo sempre con me».
Fu in quella circostanza che Giuseppe decise di aderire alla banda della Duchessa, costituita il 15 settembre 1943 per iniziativa, scrisse Marrone, «di alcuni animosi ufficiali la gran parte reduci dai vari fronti e sfuggiti, dopo l’8 settembre, con varie peripezie alle grinfie germaniche, mal soffrendo che la Patria e l’Esercito continuassero a patire l’onta della vergogna e che i nazisti, seminando con il terrore la rovina, spogliassero le città e le campagne».
LE AZIONI ARMATE. La banda della Duchessa, di concerto con la banda Giulio Porzio, portò a termine due azioni armate contro le colonne tedesche in ritirata: una sulla rotabile Tornimparte-Castiglione-Fiamignano ove causarono diversi morti e feriti e l’altra sulla Rieti-L’Aquila nei pressi di Rocca di Corno. «La prima azione a cui ho partecipato è stata vicino alla statale 17 tra Sella e Vigliano», racconta il partigiano, «da sopra alla ferrovia che passa vicino alla strada è partita una scarica di bombe a mano contro i tedeschi. Hanno risposto, ma noi eravamo già nel bosco per raggiungere le montagne, abbiamo passato tutta la notte a cercare un rifugio. Per più di un anno ho vissuto così. Era dura, per me e per tutti gli altri ragazzi».
NO ALLE GUERRE. Proprio per questo Giuseppe ancora oggi festeggia il 25 aprile con lo spirito di 79 anni fa: «Quel giorno siamo scesi tutti all’Aquila, c’erano amici, ma anche persone che non conoscevamo, abbiamo bevuto, mangiato e ballato. Ancora oggi festeggio quel giorno con qualche bicchiere di vino e qualche amico. Mia nipote sta preparando un dolce. È una data che per me sarà sempre importante. Che significa essere partigiano? Significava allora, oggi non lo so. Ma ai giovani dico: spero che finiscano tutte le guerre e che nessuno di voi debba più ricordarsi di momenti come quelli che io ho vissuto da ragazzo».