Il Centro sulla Tiburtina Via gli scatoloni si torna alla normalità

PESCARA. Gli scatoloni con i libri sono stati spacchettati e tutti hanno ritrovato, dopo un po’, le loro poltroncine. E’ vero, qualcuno va ancora in cerca del suo comuputer ma, insomma, alla fine ce l’abbiamo fatta: da ieri pomeriggio siamo qui in via Tiburtina 91 nella nuova sede centrale del Centro a Pescara.

Fortebraccio, che era una malalingua, una volta, definì la fronte di Tanassi (un deputato socialdemocratico di Ururi in Molise scomparso) «inutilmente spaziosa». Non è il caso della nuova sede del Centro che, per essere spaziosa, lo è, ma non inutilmente. E’ tutta una teoria di corridoi e stanze e sale riunioni e salottini per gli ospiti e patii interni. Rischi di perdertici dentro. E’ già successo. Appena arrivato, ieri pomeriggio, mi viene subito voglia di fumare. Cerco di uscire dall’ingresso principale e mi ritrovo in fondo a un corridoio. Apro la porta: era lo stanzino degli attrezzi.

Com’è la redazione? Bella e piena di luce: finestre con le veneziane lungo tutta una parete. Mancano ancora i televisori, è vero, e qualcuno è già in crisi di astinenza da Gerry Scotti, Blob e Uomini e Donne. Ma si sopravvive.

Quando siamo arrivati, ieri pomeriggio, il work era ancora in progress. Sì, insomma, gli operai trapanavano e segavano che era una bellezza. E quelli del trasloco stavano ancora scartando computer e aprendo scatoloni. A un certo punto, lo ammetto, ho pensato: chi lo fa oggi il giornale? Poi, le cose si sono incanalate verso la normalità, grazie alla bravura dei tecnici del Centro. Così, tutto come al solito: riunione in audiocoferenza con le redazioni distaccate, scelta dei menabò, scrittura, passaggio di foto. I giornalisti sono animali capaci di adattarsi a ogni cosa: anche al lavoro. E funziona di nuovo anche Google. Così niente più dubbi su un nome o una data.

Mancava solo un pezzettino per ricomporre il puzzle della normalità. Ma anche quello è ricomparso d’incanto quando, davanti alla macchinetta del caffè, ho sentito due colleghi che parlavano. Di cosa? Degli orari di chiusura, di quanti giorni mancano alle ferie e anni alla pensione. Ascoltandoli ho capito che ero finalmente a casa.

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