Il Csm ordina: Mancini trasferito d’ufficio 

L’alto magistrato nel mirino per le chat sulla sua nomina all’Aquila con un politico leghista finito sott’inchiesta

L’AQUILA. «Il procuratore Alessandro Mancini va trasferito dall’Aquila con funzioni diverse da quelle attualmente svolte».
Sono le 15 di ieri quando il magistrato Nino Di Matteo e gli altri componenti della prima commissione del Consiglio superiore della magistratura firmano le venti pagine della delibera che trasferisce d’urgenza in un’altra sede il procuratore generale presso la Corte d’Appello dell’Aquila per incompatibilità ambientale. È una bufera quella scoppiata al vertice della magistratura abruzzese. Venti pagine che partono con una relazione inviata all’organo garante dell’autonomia e l’indipendenza della magistratura dal procuratore generale di Bologna, a sua volta informato dal procuratore della Repubblica di Forlì e dal sostituto Laura Brunelli che sta indagando su Gianluca Pini, ex deputato leghista in Emilia Romagna sott’inchiesta per corruzione e frode in pubbliche forniture.
LA CONFIDENZA. È nel cellulare sequestrato a Pini che il pubblico ministero di Forlì scova dei messaggi scambiati via whatsapp tra Mancini e l’indagato nel periodo che va dal 30 maggio del 2018 al giorno di Natale del 2020.
«Al riguardo, non può non sottolinearsi», scrivono Di Matteo e i colleghi del Csm, «che la confidenza tra i due era tale da consentire il diretto coinvolgimento del Pini in vicende extrafamiliari quali: l’organizzazione di un incontro tra il Mancini con l’onorevole Cosimo Ferri, cui successivamente Pini raccomandava di adoperarsi («… adesso che si è chiusa la pratica romana, ricordati per favore di Alessandro…») per il buon esito della procedura per il conferimento dell’incarico direttivo di Procuratore generale presso la Corte d’Appello dell’Aquila, che si concluderà con la nomina del dottor Mancini».
CHI SONO. Fratello di Marco Mancini, l’agente segreto del Sismi prima e poi al vertice del Dis, Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, il magistrato si insedia alla procura generale dell’Aquila il 21 gennaio 2021 dopo 7 anni trascorsi a Ravenna. Conosce bene la città, dove ha ricoperto il ruolo di docente di diritto penale tributario nella scuola ispettori della Guardia di Finanza. Ma conosce bene anche Forlì dove è stato procuratore della Repubblica fino al 7 novembre del 2013.
Sull’altro fronte, quello dell’organo amministrativo delle toghe, c’è Di Matteo, consigliere del Csm che, a causa della sua attività in prima linea, è sotto scorta dal 1993. Di Matteo è stato anche candidato alla presidenza della Repubblica il 28 gennaio 2022, ed è diventato pubblico ministero a Palermo nel 1999. Lì ha iniziato a indagare sulle stragi di mafia in cui sono stati uccisi Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte, oltre che sugli omicidi di Rocco Chinnici e Antonino Saetta. Fu lui a ottenere l’irrogazione del primo ergastolo per Totò Riina.
LE CHAT TRA I DUE. Quelle che il Csm ha ritenuto più significative partono dal 31 gennaio del 2019 e si riferiscono all’incontro con l’onorevole Ferri, magistrato ex membro del Csm e già sottosegretario di Stato alla giustizia nei governi Letta, Renzi, e Gentiloni, dal 2018 deputato per il Pd e dal settembre 2019 di Italia Viva. Ma non è stato rieletto.
«Non è dubitabile», che il coinvolgimento di Pini e Ferri, «compromette irrimediabilmente lo svolgimento delle funzioni da parte di Mancini secondo i richiesti canoni di indipendenza e imparzialità», sottolinea Di Matteo. Pini organizzò l’incontro tra Ferri e Mancini e qualche mese dopo l'imprenditore scrisse nuovamente a Ferri: «Ciao Cosimo. Adesso che si è chiusa la pratica romana, ricordati per favore di Alessandro...».
L’incontro avvenne il 15 gennaio del 2020. Ecco le chat.
Mancini: «Sto x incontrarlo. Ti faccio sapere».
Pini: «Okkk».
Mancini: «Tutto ok, grazie a te! Ti dirò quando ci vedremo e al riguardo dimenticavo di chiederti se domenica a pranzo siete liberi».
Pini: «Si, direi di sì. Saluti dal Ranch».
Il 17 settembre 2020 Pini commenta così la proposta del Csm all’unanimità in favore di Mancini per il posto di Pg.
Pini: «Carissimo Alessandro, ho saputo della proposta all’unanimità per L’Aquila. Lieto per te, mi auguro comunque sia solo un passaggio intermedio verso l’agognata Bologna. Spero di rivedervi presto, sono passati più di sei mesi dall’ultima volta che ci siamo goduti una bella serata insieme. Vi aspettiamo sempre a Forlì per farvi vedere il nuovo don Abbondio, magari prima che il tempo diventi inclemente e non si possa sfruttare la pedana estiva. Un abbraccio, a presto».
Mancini: «Grazie di cuore. Un abbraccio a voi».
PARLA DI MATTEO. Non ha dubbi il relatore del fascicolo, Di Matteo, che richiama l’attenzione sulla particolarità del caso: «Siamo abituati ad analizzare vicende in cui il magistrato che vuole conseguire una nomina chiede di parlare con un componente del Csm. Qui un magistrato si rivolge a un parlamentare in carica, già travolto dalla notorietà dei suoi tentativi di condizionare impropriamente l’attività del Csm, e lo fa per il tramite di un ex parlamentare». E la richiesta di un aiuto alla politica «è particolarmente grave dal punto di vista della menomazione dell’immagine di indipendenza e imparzialità del dottor Mancini».
LA DIFESA DI MANCINI. «Non posso riconoscermi in questa ricostruzione dei fatti: non c’è nessuna chat che abbia quale argomento la nomina a procuratore generale dell’Aquila» reagisce Mancini in plenum, spiegando di aver voluto vedere Ferri solo per ricostruire il rapporto trentennale che aveva con lui e che si era interrotto dopo la «vicenda Palamara». Quel colloquio «non poteva avere alcuna finalità di influire sul procedimento di nomina a Pg dell’Aquila», non solo perché lui non aveva all’epoca nemmeno presentato domanda, ma anche perché sarebbe stato un «suicidio» rivolgersi a Ferri dopo il caso Palamara. «Non ci sono riscontri», ha sostenuto il suo difensore Maurizio Arcuri, che ha contestato alla radice la procedura del Csm («Non poteva nemmeno essere aperta», lamentando che in Commissione non c’era la maggioranza sufficiente») e l’utilizzo delle chat di Ferri, allora parlamentare in carica.