Il padre di Melania si appella al giudice: «Pensi a noi vittime» 

Gennaro Rea: «So che le la legge gli consente di farlo ma per mia figlia uccisa non c’è stata nessuna giustizia»

TERAMO. In uno Stato di diritto arriva un momento in cui è l’aritmetica degli sconti a scandire le cronache giudiziarie di assassini e vittime. «Ma i diritti di mia figlia dove stanno?»: il dolore di Gennaro Rea è così concreto e lacerante da rimanerti appiccicato addosso tutte le volte che ci parli. Perché a un certo punto finiscono pure le lacrime e la vita resta solo un tempo sospeso. «Non mi importa più delle strette di mano», ti dice, «mi importa di quella giustizia che mi spetta di diritto quando penso a mia figlia sotto terra». Da ex maresciallo dell’aeronautica sa che questo momento prima o poi sarebbe arrivato, conosce le norme ed è consapevole del fatto che i detenuti a un certo punto della pena possano chiedere permessi premio così come potrà fare Salvatore Parolisi – che lui chiama sempre «quella persona» – l’ex caporal maggiore dell’esercito condannato a vent’anni per l’omicidio della sua Melania massacrata nel 2011 con 35 coltellate e lasciata agonizzante in un bosco di Civitella del Tronto.
Io e lei di questo momento parliamo ormai da tempo, da quando la metà della pena è stata scontata. Ora che si avvicina, se potesse farlo, cosa chiederebbe al magistrato di sorveglianza che, quando Parolisi lo farà, dovrà decidere sui permessi premio?
«Di decidere con coscienza e di pensare anche alle vittime, a noi e a nostra nipote. Quella persona, il marito di mia figlia, potrà tornare dai suoi familiari in permesso premio, ma mia figlia non tornerà più da noi e dalla sua bambina. Quali sono i premi che lo Stato italiano concede alle vittime? Quali quelli che concede ai suoi familiari? Purtroppo ancora una volta lo Stato resta a guardare mia figlia e tutte le altre donne ammazzate. Che giustizia è? Che valore ha una vita che non c’è più? Una bambina rimasta senza mamma? Lo Stato tratta con gli assassini, fa sconti agli assassini e lascia le vittime senza giustizia».
Parolisi è stato condannato a una pena definitiva di vent’anni dopo che la Cassazione ha eliminato l’aggravante della crudeltà. Lei crede sia stata fatta giustizia?
«Non posso dire che mia figlia abbia avuto giustizia perché non l’ha avuta. Il marito l’ha uccisa con 35 coltellate mentre la loro figlioletta di 17 mesi era in macchina, l’ha lasciata agonizzante in un bosco e dopo qualche giorno è tornato ad oltraggiare il corpo per depistare le indagini. Ma per i giudici questo non vuol dire essere crudeli. Parolisi ha sempre mentito, ha mentito a noi, agli investigatori che cercavano la verità. Ha sempre raccontato bugie ma nonostante questo è stato premiato dalla giustizia e forse lo sarà ancora. Ma io oggi non mi aspetto niente. Da genitore spero che nessuno debba mai trovarsi nella situazione che viviamo io e mia moglie. Melania ci riempiva la vita e con il passare degli anni la sua assenza ci pesa sempre di più, anche se abbiamo nostra nipote che ci fa pensare al futuro e ogni giorno cerchiamo di essere il meglio per questa bambina che oggi è la nostra unica ragione di vita».
Sua nipote aveva 17 mesi quando la madre venne uccisa a pochi metri dall’auto in cui si trovava. Oggi ha 11 anni e vive con lei e sua moglie dopo l’affidamento del tribunale dei minori. Farà delle domande.
«Le fa già perché noi parliamo sempre di sua mamma. Mia nipote è cresciuta nella verità. È seguita dagli psicologi del tribunale e cresce benissimo conoscendo la verità. Negli anni anche io e mia moglie siamo diventati psicologi, psicologi di noi stessi, per affrontare con lei tutto al meglio cercando di mettere da parte il dolore di genitori per essere solo nonni. E vedere come cresce serena ci riempie la vita. Ma...»
Ma?
«Ma tutte le volte che la guardo penso con rabbia a chi le ha impedito di crescere con sua madre, con una ragazza che aveva solo 29 anni e tanta voglia di vivere. Mia nipote non potrà mai ricordare una sua carezza, una sua parola, una sua favola della buonanotte. Si dovrà accontentare di vedere sua mamma nelle foto, di conoscerla dai racconti dei nonni, degli zii, di tutti quelli che le hanno voluto bene e continuano a volergliene. Ma questo non è giusto ed è colpa di quella persona che ha cancellato per sempre l’esistenza di nostra figlia, che ha mentito sempre, che non ha mai avuto il coraggio di parlare. Ma nonostante questo continua ad essere premiato dallo Stato. Lo so che in uno Stato di diritto il codice va rispettato. Ma mi chiedo e chiedo se vada rispettato sempre a favore degli assassini e mai a favore delle vittime e dei familiari che sopravvivono alle vittime, che racchiudono speranze nei processi, che credono sempre nella giustizia dello Stato e che poi, puntualmente, si ritrovano senza niente. Questa non è una giustizia per le vittime».
Dopo Melania è arrivata la legge contro il femminicidio, ma la strage continua. Che cosa manca?
«Manca la certezza della pena in questo Paese in cui lo Stato continua a guardare questo infinito elenco di donne uccise da uomini. Guardi il caso di mia figlia e pensi che tra qualche tempo il suo assassino potrà pensare alla libertà, a rifarsi una vita, come se l’omicidio fosse stato una parentesi. Dopo l’omicidio di Melania la mia famiglia ha fondato un’associazione contro la violenza sulle donne perché l’attenzione resti sempre alta, ma è lo Stato che deve fare di più. Invece resta al balcone di casa a guardare gli omicidi che aumentano, a fare sconti agli assassini che possono rifarsi una vita. Ma alle vittime chi ci pensa?
In questi anni lei ha contattato i genitori di altre donne uccise, a cominciare da quelli di Elena Ceste, la mamma di Castigliole d’Aste uccisa nel 2014 dal marito. Condividere lo stesso dolore aiuta a sopravvivere?
«Ho pensato alle nostre solitudini, li ho contattati per sentirci meno soli, per condividere quello che è successo perché certe tragedie possono essere capite fino in fondo solo da chi le ha vissute. Solo da chi come te vive con dolore e rabbia davanti a uno Stato che non fa niente».
Qual è l’ultimo ricordo di sua figlia che l’accompagna?
«Il suo sorriso, la sua voglia di vivere e di fare la mamma, il suo amore per l’uomo che le avrebbe tolto la vita che lei ha amato con tutta se stessa. Tutte le volte che guardo mia nipote vedo mia figlia, quello che avrebbe potuto essere e non sarà mai, quello che avrebbe potuto dare a noi genitori e che non potremo avere più. Era contenta della sua vita, ma quella persona le ha impedito di viverla. Mia figlia aveva 29 anni, era nel pieno della sua vita di donna, di mamma. Tutte le volte che ci vedevamo non faceva altro che dirci quanto fosse felice. Quella persona non ha avuto pietà di nessuno, nemmeno di sua figlia che quel giorno di nove anni fa era in macchina mentre lui uccideva la mia Melania».(d.p.)
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