Il prode Don Chisciotte amò Dulcinèa sulla spiaggia di Silvi

SILVI MARINA. Il grande scrittore spagnolo Miguel Cervantes de Saavedra (1547-I616), autore del romanzo per eccellenza "Don Chisciotte della Mancia", attesta il legame con la famiglia Acquaviva nel...

SILVI MARINA. Il grande scrittore spagnolo Miguel Cervantes de Saavedra (1547-I616), autore del romanzo per eccellenza "Don Chisciotte della Mancia", attesta il legame con la famiglia Acquaviva nel dramma pastorale "Galatea", che risale al suo periodo giovanile. Infatti, nella dedica indirizzata "Ad Illustrissimo Senor Ascanio Colona, abbad de Santa Sofia", egli si qualifica come "camerero" Acquaviva in Roma, al servizio del cardinale Giulio (Atri 1546 - Roma 1574). Un altro legame tra Cervantes e la nobile famiglia napoletana è testimoniato dal fatto che è lui a combattere al fianco del decimo duca di Atri, Giovanni Giacomo a Lepanto nel 1571. La famiglia Acquaviva dunque, i feudatari del ramo di Atri con 17 duchi dal 1393 fino al 1760, sono i signori per cui Cervantes vive l'avventura italiana. Queste annotazioni sembrano supportare una ricerca che, partendo da un ambito territoriale ben definito, risulti idonea a rintracciare una possibile origine dei nomi di Don Chisciotte e Dulcinea, che l'autore sceglie per i due interpreti della sua storia, le cui vicende sono cosi vicine a quelle di tutti gli uomini e donne del pianeta. Il triangolo di terra che oggi comprende Atri, Pineto e Silvi nella provincia di Teramo, offre vari spunti per un' indagine che pone l'attenzione sui 7 anni meravigliosi che vedono Cervantes protagonista incontrastato della vita colta nella Penisola, a cui partecipa con frequenti spostamenti, quando non prende parte alle spedizioni militari. Ufficialmente nomi di fantasia, Don Chisciotte e Dulcinea potrebbero essere i personaggi che hanno animato i fatti di quel periodo denso di avvenimenti e la loro storia d'amore, diventata emblematica, potrebbe essere nata sulla spiaggia in passato di Atri, oggi Silvi. A sostegno di quando affermato, si propone la conoscenza di avvenimenti, confronti di date e qualche ipotesi. Per la figura di Don Chisciotte, ogni dubbio svanisce e il discorso si chiude, quando si accerta che a ispirare Cervantes sia stato Giovanni Francesco Acquaviva d'Aragona. Quest'ultimo per la sua notorietà è stato ritratto (1551, olio su tela 230x153 centimetri) da Tiziano Vecelio (1488-1576) a Kassel, uggiosa città tedesca, con l'alabarda, il cane da caccia, l'armatura e le chisciotte, la caratteristica calzamaglia spagnola rigonfiata ai fianchi. Giovanni Francesco è, infatti, il figlio primogenito di Andrea Matteo Acquaviva III d'Aragona, (1455 circa-1529), figlio di Giulio Antonio, VIII Duca d'Atri, il valoroso condottiero, di animo signorile, unico della sua famiglia a ornare la cattedrale atriana. È lui che assicura il dovuto sostegno al maggior pittore del Quattrocento abruzzese, Andrea De Litio da Lecce dei Marsi (Aq), impegnato a realizzare il suo ciclo di affreschi del coro. Andrea Matteo III, da politico lungimirante e raffinato stratega, nell'autunno 1511, ordina a Giovanni Francesco ed i suoi uomini da egli stesso stipendiati, di dar man forte al viceré di Napoli, Don Raimondo di Cardona, che si muove il 2 novembre alla testa delle milizie spagnole-napoletane per porsi a capo di quelle di tutta la lega, promossa dal belligero pontefice Giulio II Della Rovere, fra sé, il re cattolico ed i veneziani per scacciare i francesi della Lombardia. Nella disfatta delle armi presso Ravenna, il giorno 11 aprile 1512, Giovanni Francesco è ferito gravemente ed è fatto prigioniero dai francesi, insieme con i maggiori capi dell'esercito della lega, tra cui il cardinale legato Giovanni dei Medici, poi papa Leone X, Pietro Navarra, generale spagnolo e Ferdinando D'Avalos, marchese di Pescara. Delle curiose vicende capitate a Giovanni Francesco, è il panegirista Storace, storiografo della famiglia Acquaviva, a riferire. La sua opera, molto apprezzata, "Istoria della Famiglia Acquaviva", stampata a Roma, è del 1738. È certo che Giovanni Francesco prima della campagna, abbia ricevuto una provvigione di 10mila ducati dal re cattolico. Quanto al comportamento in battaglia, che sistematosi nelle prime file sia caduto quasi morto per molte ferite, delle quali la più grave alla testa (che teneva scoperta) quasi fino al cervello. Si racconta ancora che, in virtù del suo alto lignaggio, il re per onorarlo abbia ingiunto al viceré Cardona di andarlo a visitare a suo nome e il papa Giulio II gli abbia permesso di coprirsi in chiesa e inibito il suono delle campane nella sua dimora. Un'altra prova che getta nel ridicolo l'Acquaviva è quella del 24 febbraio 1525, quando a seguito della terribile sconfitta dei francesi inflitta dagli imperiali, sotto le mura di Pavia, che determina la prigionia del re Francesco, pur appartenendo a un esercito pienamente trionfante, si fa catturare di nuovo. Giovanni Francesco Acquaviva, marchese di Bitonto, muore di peste in Atri il 6 ottobre 1527, assistito dal suo medico Forcella che, contratto il morbo mortale, alla fine dei suoi giorni è sepolto da Andrea Matteo III insieme all'amato figlio. Il corpo di Giovanni Francesco riposa nel monastero di S. Chiara. Diversa spiegazione trova invece la possibile adozione da parte di Cervantes del nome Dulcinèa, o Dùlcinea del Toboso, per l'ispiratrice delle imprese donchisciottesche, in ricordo di una storia d'amore nata sulle spiagge del Mar d'Atri, oggi Silvi. E' a sostegno di tale ipotesi la considerazione che, durante il periodo italiano, pare possibile l'avverarsi di una simile situazione, quando il celebre scudiero avrebbe potuto conoscere le splendide Dulcinèe, o Dùlcinee di Silvi, presenti nel territorio, fin dalla fine del '400. In questi anni, numerose famiglie slave, provenienti da Dulcigno, attuale Ulcini, piccola città marina del Montenegro, posta ai confini dell'Albania, raggiungono la costa adriatica, accolte dal re Ferdinando di Napoli, che obbliga la popolazione di Silvi, notevolmente ridotta da varie guerre, ad ospitarle. I "Dulcignotti", di indole tranquilla e laboriosa, e le loro donne, le splendide Dulcinee, avrebbero potuto stregare l'autore de "il Cavaliere dalla Trista Figura". Del resto l'ipotesi di due dulcinèe o dùlcinee è rintracciabile nello stesso romanzo, formulata da Don Chisciotte in uno degli ultimi incontri con Sancho Panza. Questi propone all'immaginoso cavaliere una Dulcinèa o Dùlcinea di pelle ambrata, la contadina Aldonzo Lorenza; a catturare i pensieri di Don Chisciotte, invece, è l'altra Dulcinèa o Dùlcinea, una giovane donna innamorata conosciuta sulle spiagge un tempo controllate da Atri, oggi Silvi, di sicuro seducente come le donne slave di fiera e rara bellezza sanno essere.

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