La madre: «Ora voglio la verità, Alessandro si poteva salvare» 

L’appello della mamma del 21enne trovato in un lago di sangue in albergo e morto in ospedale: «Troppe cose non tornano». Oggi l’autopsia disposta dalla Procura per capire le cause del decesso

PESCARA. «Mio figlio è uscito di casa alle 9 di sera di venerdì. Ci siamo sentiti alle 21,05, l’ho chiamato per dirgli se sapeva dov’era mio marito che doveva venire a prendermi dal lavoro e non mi rispondeva, e Alessandro mi ha detto che non lo sapeva, perché era appena uscito. “Ma se papà non viene fammi sapere, mamma, che vengo io”. E così ho richiamato Alessandro alle 21,15 per dirgli che era tutto a posto. “Va bene ciao”. Così ci siamo salutati io e mio figlio. Poi, alle 6 e mezza del mattino dopo, sono andata a controllare in camera sua e non c’era. Alle 7,43 ho visto il messaggio sul telefonino di mio marito, “Papà sto tornando, tutto a posto”. Invece a quell’ora mio figlio era già in ospedale». È stravolta dal dolore, ma è lucida Maria, la mamma di Alessandro Di Nino, che a 21 anni è uscito di casa venerdì sera, zona Villaggio Alcione, al confine con Francavilla, e non è più tornato, morto alle 10,25 di sabato nel reparto di Rianimazione dell’ospedale, dopo un’agonia iniziata in una stanza d’albergo sul lungomare sud, a un chilometro da casa. «Troppe cose non tornano», ripete la mamma, «e nel bene o nel male voglio sapere che è successo a mio figlio. Perché è andato in quell’albergo, e perché l’hanno lasciato morire così. Chi si trovava in quell’hotel nella notte tra venerdì e sabato ha detto che alle 3 c’è stato un frastuono incredibile, che è successo un pandemonio. Perché non hanno chiamato i soccorsi alle 3, perché hanno aspettato fino alle 6, dopo che mio figlio aveva perso tutto quel sangue? E poi perché quel messaggio da un telefonino che non era di mio figlio, e a quell’ora?».
Non si dà pace Maria, che quel figlio, con il marito Lello, l’ha voluto quando aveva 27 anni, «desiderato, cercato, amato». L’inizio di tutto Alessandro, arrivato prima di Riccardo e di Leonardo che oggi, 18 e 8 anni, si trovano già messi spalle al muro dalla vita. Con Riccardo che dice: «Con mio fratello non avevo un grandissimo rapporto, ma so che c’è sempre stato per me, anche se non direttamente teneva molto a me e la cosa che mi dispiace è che non siamo arrivati a dirci ti voglio bene».
Una morte piena di interrogativi e dolore quella di Alessandro, sulla quale da sabato mattina stanno indagando i carabinieri della compagnia di Pescara e del Nucleo investigativo del Reparto operativo, coordinati rispettivamente dal capitano Antonio Di Mauro e dal colonnello Gaetano La Rocca.
Sarà l’autopsia disposta dal sostituto procuratore Rosangela Di Stefano eseguita con ogni probabilità oggi, subito dopo l’incarico affidato al medico legale Ildo Polidoro, a dare agli investigatori le risposte necessarie a completare il quadro investigativo messo insieme in queste ore. Da quando, poco dopo le 6 di sabato, il portiere dell’hotel Holiday telefona a 118 e carabinieri per urlare quello che ha appena trovato aprendo quella maledetta porta, chiusa dall’interno, al quarto piano dell’albergo. Quel ragazzo, in un lago di sangue, con le gambe martoriate da una serie di ferite da taglio, semicosciente nella stanza a soqquadro, il vetro della finestra rotto e a terra una scia di sangue come se qualcuno avesse trascinato il povero Alessandro ferito. «O è stata una messinscena?», si chiede Maria. Che cosa è successo davvero?
A raccontare le ultime ore del ragazzo pescarese ai carabinieri è stato proprio il diciottenne romano, M.S. che venerdì sera aveva preso quella stanza d’albergo per tre notti. Agli investigatori, sentito come persona informata sui fatti, il ragazzo ha riferito di aver trascorso la serata in giro con Alessandro e di essere rientrato con lui in albergo poco dopo le 5,30. Poi, riferisce il diciottenne, si sono separati. Il romano ha raccontato di essere uscito a comprare le sigarette mentre Alessandro è rimasto nella stanza, dove, al suo ritorno, dopo meno di un quarto d’ora, il romano non è più riuscito a entrare, trovandola chiusa dall’interno. Motivo per cui, ha detto ai carabinieri, ha chiesto l’intervento del portiere, allarmato dalle mancate risposte dell’amico.
«Non so chi sia questo ragazzo, non lo conosciamo, so che i carabinieri stanno facendo le indagini», riprende la mamma di Alessandro mentre ripete, «voglio sapere la verità e basta. Alessandro venerdì sera è uscito di casa sereno, con il sorriso e poi si è ritrovato in un lago di sangue in una stanza d’albergo a due passi da casa, mentre il padre«lo aspettava in cucina tra la veglia e il sonno, perché», racconta la moglie Maria, «finché non rientrava il figlio, non si andava mai a mettere a letto. Sabato mattina se è andato a dormire alle 6 convinto di aver sentito il campanello del figlio. L’ho svegliato io quando ho letto il messaggio sul telefonino e poi, alle 8,15 sono arrivati i carabinieri a dirci che Alessandro era in ospedale».
Sarà oggi l’autopsia a dare le prime risposte, a chiarire che cosa ha ucciso Alessandro e a verificare l’eventuale assunzione di sostanze stupefacenti, tenendo conto che già dai primi accertamenti i carabinieri hanno escluso l’ipotesi dell’omicidio. Ma non si accontenta la famiglia, convinta, in ogni caso, che Alessandro poteva essere salvato. Per questo i genitori si sono affidati all’avvocato Edgardo Ionata, decisi a conoscere gli ultimi istanti del figlio e perché l’hanno perso. Ma non solo: se l’esame tossicologico dovesse dire che il ragazzo ha assunto delle sostanze, chi gliele ha date, con chi le ha consumate? E quelle ferite sulle gambe, come se l’è procurate? Era davvero solo nella stanza? «Alessandro era un bravissimo ragazzo», ripete la madre alla fine di un’altra giornata da incubo, con la casa piena di amici e il marito chiuso in un silenzio straziante. «Alessandro era l’amico di mio marito, non il figlio. Ogni cosa che si metteva, “papà come sto?” Gli piacevano i profumi, sempre pulito, a posto, un ragazzo di cuore. Diceva grazie per qualsiasi cosa, giocava con il fratello piccolo alla play; si è fatto in quattro, di recente, per aiutare mia suocera che aveva avuto un problema a casa. Un cuore d’oro. Gli ho insegnato a voler bene, era l’amico di tutti». «Siamo poveri», ripete Maria con l’umiltà e la forza di chi nella vita ha sempre lavorato, «ma siamo onesti».