Mafalda vittima del lager 

Chieti, la tragica fine della principessa che per amore andò incontro alla morte

La principessa aveva occhi belli e tristi. Figlia secondogenita di Vittorio Emanuele III e di Elena del Montenegro, Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana, che a corte chiamavano semplicemente Muti, aveva un’indole docile e obbediente. Dalla madre Elena ereditò il senso della famiglia, i valori umani, la passione per la musica e l'arte. E dalla vita imparò ad essere una donna coraggiosa che per amore, solo per amore, scelse di morire in un campo di sterminio. Ma Chieti le regalò i suoi ultimi otto giorni di serenità.
Palazzo Massangioli, in piazza Umberto, nel settembre del 1943 incrociò un pezzo di storia d’Italia. Proprio qui, come ricorda una lapide, trovò rifugio Mafalda di Savoia, principessa d’Assia, che scelse di non seguire il corteo dei reali in fuga sulla Tiburtina verso il porto di Ortona e di salire sul colle. Si era sposata, il 23 settembre 1925, con il principe tedesco Filippo, langravio d'Assia-Kassel, figlio del re di Finlandia e Carelia. E Filippo, nel giugno 1933, su proposta di Hitler, assunse l'incarico di governatore della provincia d'Assia-Nassau. Fu il periodo dell'ascesa in Italia del fascismo, visto da Mafalda con simpatia. Per la nascita dei suoi quattro figli, Hitler le conferì personalmente la croce al merito, come a tutte le mamme con prole numerosa.
Ma anche per la principessa la storia prese una strada diversa dopo l’8 settembre del ‘43. Alla firma dell'armistizio con gli alleati, i tedeschi ordinarono il disarmo delle truppe italiane. Mafalda lo seppe mentre era a Sofia dalla sorella Giovanna. Aveva un solo scopo: recarsi a Roma per riabbracciare i figli. L'11 settembre, la principessa salì su un aereo procurato dai diplomatici italiani, ma il velivolo atterrò a Pescara. E per otto giorni alloggiò a Chieti, in quel palazzo dove ha sede il teatro Marrucino. Nel sul calvario – si legge sulla lapide – fu per lei l’ultimo luogo di pace. Con mezzi di fortuna, il 22 settembre 1943 riuscì a raggiungere Roma e fece anche in tempo a rivedere i figli, custoditi in Vaticano da monsignor Montini, il futuro papa Paolo VI. La mattina del 23, all'improvviso, venne chiamata al comando tedesco per l'arrivo di una telefonata del marito dalla Germania.
Era una trappola: in realtà Filippo era già nel campo di concentramento di Flossenbürg. Mafalda venne arrestata, imbarcata su un aereo per Berlino e deportata nel lager di Buchenwald, dove venne rinchiusa nella baracca numero 15 sotto il falso nome di von Weber, ma i nazisti per scherno la chiamavano Frau Abeba. In quel campo di concentramento finirono 238.980 deportati di trenta nazionalità diverse. Era tra i lager dove si attuò lo sterminio tramite il lavoro. Il numero delle vittime fu di 43.045, secondo alcune fonti, di 56 554 secondo altre, fra le quali 11.000 ebrei e una principessa con occhi belli e tristi.
Mafalda morì dissanguata nella notte del 28 agosto 1944. Sembra che, poco prima di chiudere gli occhi, abbia detto agli altri deportati: «Se mai la fortuna vi aiuterà a tornare fatemi un regalo: salutatemi i miei figli Maurizio, Enrico, Ottone e Elisabetta. Salutatemi tutta l’Italia».
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