il processo
Omicidio Pavone, il pm di Pescara chiede trenta anni per Gagliardi. Lui: sono un uomo mite e innocente
Due ore di requisitoria per ricostruire l'omicidio dell'ingegnere informatico ucciso con un colpo d'arma da fuoco a Montesilvano dal dipendente delle poste che aveva una relazione sentimentale con la moglie. I familiari: danni per 600mila euro
PESCARA. Trent'anni di carcere per Vincenzo Gagliardi. È la richiesta del pm della Procura di Pescara, Annarita Mantini, nel corso del processo con rito abbreviato a carico del dipendente delle Poste accusato dell'omicidio dell' ingegnere informatico Carlo Pavone, morto dopo un anno di coma dopo essere stato raggiunto da un colpo di arma da fuoco sotto casa a Montesilvano nell'ottobre 2013. Un delitto che Gagliardi nega di aver commesso: «Progettavo un futuro con la moglie di Pavone, ma non sarei mai riuscito a vivere con lei e i suoi figli sapendo di aver fatto ciò di cui mi si accusa», ha dichiarato durante la sua deposizione spontanea.
La requisitoria del pm è durata quasi due ore. Presente in Aula, davanti al gup Mariacarla Sacco, l'imputato Gagliardi, che ha preso parte a tutte le udienze e due familiari di Pavone: il fratello Rocco e la sorella Adele. Gagliardi, accusato di omicidio volontario premeditato, avrebbe ferito la vittima con un colpo di arma da fuoco, sotto casa a Montesilvano, il 30 ottobre del 2013: Pavone è deceduto il 16 novembre 2014, dopo un anno di coma.
Il pm, nella sua requisitoria, ha ribadito che il movente dell'omicidio sarebbe da rintracciare nella relazione extraconiugale tra Gagliardi e la moglie di Pavone. «Pavone era diventato un problema - ha affermato la Mantini - che si frapponeva al coronamento della storia in corso tra i due». Quindi si è soffermato sull'alibi, che a giudizio dell'accusa «non tiene in termini temporali» e ha evidenziato gli indizi, come la polvere da sparo rinvenuta sugli indumenti di Gagliardi e le ricerche che l'imputato ha svolto su Google, in merito alla distanza che risulta letale per l'esplosione di un colpo di fucile Flobert e al modo in cui reperire le armi. Infine ha sottolineato la premeditazione dell'atto criminale.
Il legale dell'imputato, Renzo Colantonio, ha chiesto l'assoluzione per non aver commesso il fatto, basando la sua arringa difensiva su quella che considera la prova dell'innocenza, cioè il rinvenimento, a circa 50 centimetri dal corpo della vittima, di un coltello con la lama sguainata e insanguinata. «Sull'impugnatura sono state trovate tracce biologiche che non appartengono né a Gagliardi né a Pavone» ha detto il legale, affermando che sul posto c'era un'altra persona che ha a che fare con l'omicidio».
Durante l'ultima udienza del processo hanno preso la parola i legali di parte civile. L'avvocato Massimo Galasso ha chiesto 300 mila euro di risarcimento per la madre della vittima, Concettina Toro e 150 mila euro a testa per il fratello e la sorella di Carlo Pavone, Rocco e Adele. L'avvocato della moglie di Pavone, Ettore Paolo Di Zio, formulerà un'ulteriore richiesta di risarcimento per conto dei figli della vittima. «È una richiesta assolutamente congrua, il risarcimento lascia il tempo che trova, ci interessa che il responsabile sia punito»: così l'avvocato Galasso ha commentato, per conto della famiglia Pavone, la richiesta di condanna a 30 anni, a carico di Gagliardi, formulata dal pm Annarita Mantini.