Quando Città Sant’Angelo diventò terra di deportati 

Nell’unico campo di concentramento del Pescarese vi erano 150 internati

CITTA’ SANT’ANGELO . Città Sant’Angelo, il “paese della gente buona”, come è stato ribattezzato dalla storia, ha ospitato un campo di concentramento, l’unico della provincia di Pescara, nei primi mesi del 1941.
La struttura, che ha radunato 150 persone tra rifugiati, sfollati, reazionari, stranieri, nemici della patria, internati destinati ai lager nazisti, era stata allestita nello stabile dove attualmente si trova il polo museale dell’ex Manifattura Tabacchi, di vico Lupinato.
Oggi, 27 gennaio, nella giornata internazionale della Memoria che riaccende i riflettori sulle vittime dell’Olocausto, il sindaco Gabriele Florindi ricorda che l’ospitalità e il calore degli angolani, in quei mesi bui del secondo conflitto bellico, hanno valso alla comunità la medaglia d’argento al merito civile al gonfalone comunale conferita il 13 settembre 2012 dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Emozioni che il Comune ha voluto “fermare” in un libello che raccoglie immagini, scritti e testimonianze dei protagonisti, anche stranieri, ospiti di passaggio nella realtà concentrazionaria angolana.
Nel febbraio 1941 giunse il primo gruppo di 13 internati. In seguito arrivarono altri 44 cittadini dalmati, fino a che gli ospiti raggiunsero il numero limite di 150. Fu il governo italiano, il 10 giugno 1940, a istituire in diverse regioni 43 campi di concentramento, di cui quindici in Abruzzo, dislocati in tre province; nel teatino a Casoli, Istonio (l’antica Vasto), Lama dei Peligni, Lanciano (qui c’era un campo femminile che ospitava anche i bimbi), Tollo e Chieti; nel teramano a Civitella del Tronto, Corropoli, Isola del Gran Sasso (nella basilica di San Gabriele), Nereto, Notaresco, Tortoreto (stazione e alto) e Tossicia (campo nomadi).
Lo storico Costantino Di Sante spiega nel volume “I campi di concentramento in Italia” che il posizionamento delle strutture, in numero record in Abruzzo, veniva scelto in base alla «posizione geografica della regione» che permetteva «un più sicuro isolamento e controllo degli internati essendo collocata nel mezzo della penisola, strategica in quanto, secondo il Ministero dell’Interno che si occupava dell’allestimento difficilmente interessata da operazioni belliche». Le sedi venivano aperte «lontano da fabbriche, da vie di comunicazione, da zone militarmente importanti, di scarsa concentrazione abitativa e per la minore politicizzazione della popolazione».
Per la provincia di Pescara fu scelta Città Sant’Angelo «come risulta dalla lettera del Ministero dell’Interno numero 442/11469 del 6 giugno 1940» si legge nel volumetto del Comune con la prefazione del sindaco, l’introduzione del senatore emerito Nevio Felicetti e le note storiche curate da Katia Di Silvestre «il campo accolse dal febbraio 1941, 150 persone. Vi erano rinchiusi comunisti e socialisti, liguri e triestini, un anarchico toscano, ebrei originari di Fiume, nazionalisti croati, sloveni e monarchici serbi della Dalmazia». Gli internati aveva facoltà di uscire dal campo e durante le ore di libera circolazione, frequentavano le famiglie del paese». Florindi: «L’accoglienza era calda e sincera al punto che in molti si sono uniti in matrimonio e poi, magari, sono andati a vivere all’estero».
Tra i fidanzamenti che si conclusero con i fiori d’arancio vi sono quelli di Boris Baslakova e Doralice Core e tra Paolo Pirih e Teresa Mazzocchetti.
Ma le frequentazioni tra internati e famiglie, davano qualche preoccupazione agli organismi preposti alla sorveglianza e al mantenimento dell’ordine pubblico. Il timore di azioni sovversive veniva espresso in una nota dell’allora prefetto di Pescara, Alberto Varano, che in data 19 novembre 1942 segnalava «il pericolo rappresentato da 26 comunisti che malgrado l’attiva vigilanza degli agenti di polizia riescono a mantenere rapporti con gli abitanti di quel Comune, molto ospitali per loro natura, avendo così facile occasione di propagandare le proprie idee sovvertitrici». Molti angolani subirono persecuzioni e percosse a causa dello «zelo dei fascisti». Il calore delle genti angolane è testimoniato nei racconti degli ospiti del campo di concentramento chiudo definitivamente nell’aprile 1944. Scrive Goffredo Jukich, internato di origine dalmata: «Anche se eravamo arrivati con la qualifica di nemici della patria, con le persone del luogo avevamo stabilito rapporti di pura e sincera amicizia, al di là delle idee politiche». E spiega che, grazie a queste frequentazioni, gli internati potevano avere «contatti con l’esterno ed eludere i controlli». Grazie all’amicizia con Mario Castagna, Jukich potè «spedire lettere e pacchi senza censura, ricevere libri e giornali proibiti e fare telefonate a Lubiana». John Sommer, ebreo rifugiato in quegli anni a Città Sant’Angelo, rivela che il paese «accolse senza denunziare, in maniera m ammirevole. I Paesi europei e le altre regioni italiane non avevano uguale grado di civiltà e tolleranza».
Tra gli sfollati a Città Sant’Angelo vi era il poeta Alfredo Luciani, nel 1943 preside dell’istituto tecnico “Tito Acerbo” di Pescara. Il volumetto, pregno di curiosità e aneddoti, è distribuito gratuitamente dal Comune.