«Strangolò la moglie, ma era esasperato»

Prescritto l’omicidio di Teresa Bottega del 1990. Depositate le motivazioni della sentenza che ha lasciato libero Morrone

PESCARA. Il tecnicismo che lascia in libertà Giulio Cesare Morrone, uxoricida reo confesso a scoppio molto ritardato, va a braccetto con il “picconamento” della figura di Teresa Bottega, la vittima, il cui modus operandi avrebbe finito per esasperare il coniuge, responsabile della sua morte violenta.

L’assenza dei “futili motivi”, che la legge cataloga come la sproporzione tra l’azione omicida e la motivazione alla sua base, diventa il nodo centrale di una sentenza che ha sollevato polemiche e lasciato sgomenta la famiglia di Teresa, uccisa a 35 anni nel marzo 1990 nella sua casa a Santa Teresa di Spoltore e il cui corpo, gettato dal marito in un canale a Bondeno, nel Ferrarese, non è mai stato trovato.

Dalle 13 pagine delle motivazioni del verdetto con rito abbreviato che lo scorso 7 novembre ha dichiarato estinta per intervenuta prescrizione l’accusa di omicidio volontario ed evitato il carcere a Morrone, oggi 57enne, emerge - ampia e stridente - la forbice che divide il moto dei sentimenti dalle prescrizioni asettiche del codice penale, che non vuole condannato un uomo, nonostante la confessione, se il delitto ha travalicato la linea dei 20 anni.

Quell’assassinio, rivelato alla Mobile e al pm dopo 22 anni da Morrone - che pure molto tempo prima si era già confidato con un prete, don Giuseppe Femminella, fuori della confessione - resta impunito perché l’aggravante del rapporto di coniugio non è supportata da quella, da ergastolo e decisiva per comminare una pena, dei futili motivi: Morrone uccise la moglie dopo avere scoperto che dal comò della camera da letto era sparito un orologio. «Uno stimolo a delinquere sicuramente lieve e banale rispetto all’effetto della sua condotta», ma che, scrive il giudice Gianluca Sarandrea, «non tiene conto del reale contesto in cui la stessa è maturata».

Dal matrimonio, datato 1976, erano nati due figli, di 13 e 11 anni all’epoca del delitto: il rapporto coniugale era diventato presto conflittuale anche per il carattere violento di Morrone, confermato da una serie di testimonianze.

Teresa, ricorda il gup, aveva cominciato un percorso di tossicodipendenza frequentando persone dedite alla droga e intrecciando un rapporto extraconiugale con uno di loro. Solo grazie all’intervento del marito, recita la sentenza, la donna era tornata in famiglia, ma la dipendenza dalla droga l’aveva spinta a impossessarsi di denaro e preziosi in casa.

Il giudice scrive che «l’imputato si era prodigato di far seguire alla moglie un percorso di disintossicazione in una comunità, ottenendo tuttavia un netto diniego da parte di lei». E’ il passaggio fondamentale, per il giudice, che rivede sotto tutt’altra luce la sparizione di quell’orologio e l’omicidio seguente, culmine di una rabbia provocata dalla paura per il futuro dei figli, dalla frustrazione per «la riottosità della coniuge a non assumere più stupefacenti» e dal timore di «un ulteriore abbandono domestico».

Conclude il giudice: «Va escluso che Morrone covasse in animo tale azione delittuosa nei riguardi della moglie attendendo lo spunto per dar sfogo a tale istinto; si deve notare come era stato proprio l’imputato a far sì che la moglie tornasse a casa e avesse tentato di risolvere la sua condizione di tossicodipendenza, comportamento evidentemente incompatibile con un’eventuale pervicace volontà omicida».

Come uccise, Morrone? Strangolando la moglie, come da prima versione del 6 dicembre 2012, oppure la morte fu l’esito di una caduta a terra conseguente a un pugno alla tempia senza intenzione assassina, come opportunamente corretto di fronte al pm sei giorni dopo? A quel cambio di rotta, spartiacque tra un omicidio volontario e un meno grave (e a sua volta già prescritto) delitto preterintenzionale, il giudice non dà credito: tanto è ricca di «veridicità, genuinità e attendibilità» la prima versione («l’ho uccisa...le ho dato un pugno, le ho messo le mani al collo e ha smesso di respirare»), quanto è «platealmente incredibile» la seconda, attribuita da Morrone a un semplice errore mnemonico e a un errore di comprensione di don Peppino («Avrà capito male», disse al pm), al quale pure l’imputato aveva parlato espressamente di strangolamento.

Nonostante la versione bis tendente a ottenere l’impunità almeno di fronte alla giustizia degli uomini, il giudice - in linea con il pm - ha riconosciuto a Morrone comunque le attenuanti generiche della confessione, pur forzata dalla mediazione del prete e soprattutto dalla perseveranza di un testimone, Sergio Cosentino, al quale don Peppino aveva parlato anni prima di un non meglio precisato omicidio.

Ma senza quei futili motivi, a quasi 24 anni da un delitto mai perseguito, la legge fa sfumare nella prescrizione il più cruento dei reati. Lasciando che la beffa si faccia largo nel cuore di chi ha amato Teresa, sprigionando altro dolore.

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