Di Luca prosciolto: non diffamò il ciclismo 

L’ex corridore di Spoltore (radiato dal Coni) scagionato dal tribunale di Milano dopo la denuncia per aver gettato fango sui colleghi in un’intervista a Le Iene

PESCARA. Un tempo era un idolo degli appassionati di ciclismo, oggi, invece, è un commerciante di biciclette Danilo Di Luca. Un po’ alla volta è scomparso dalla scena delle due ruote, di quello che è stato il suo mondo. Un movimento che lo ha messo alla porta. L’ex corridore di Spoltore è stato radiato il 5 dicembre del 2013 dal Tribunale Nazionale Antidoping a Roma dopo la positività del precedente 29 aprile all'eritropoietina.
Il primo corridore squalificato a vita nella storia del ciclismo italiano. Da qui il libro “Bestie da vittoria” in commercio nell’aprile del 2016. Una biografia in cui ha raccontato il suo viaggio nell'inferno del doping durato 16 anni. «La verità è che tutti si dopano e che tutti lo rifarebbero», ha scritto tra l’altro. Aggiungendo: «Nel ciclismo tutti sanno la verità, ma la verità è inaccettabile. Quando i direttori sportivi dicono "non so niente", mentono. L'ambiente non ti obbliga a doparti, ti sollecita, il campione crea un indotto che dà da mangiare a un sacco di famiglie».
Per tutti una chiamata in correità. Un concetto già noto visto che Di Luca era stato protagonista di un’intervista alla trasmissione televisiva “Le Iene”, su Italia 1, nel gennaio del 2014 che aveva fatto molto rumore. «Lo fanno tutti. E c'è chi vende le corse», aveva detto. Un atto di accusa ingiustificato secondo i corridori che, attraverso le associazioni di categoria, hanno portato Di Luca davanti a un giudice con l’accusa di diffamazione. La sentenza è datata ottobre scorso e dà ragione a quello che per anni è stato il Killer di Spoltore, prosciolto perché il fatto non sussiste. Non c’è stato nemmeno bisogno del dibattimento in tribunale perché il corridore radiato dal Coni è stato scagionato dalle accuse nella fase preliminare su richiesta del pubblico ministero e nonostante l’opposizione dei querelanti. Nel mirino era finita in particolare l’intervista a “Le Iene”, ebbene il giudice Alessandra Cecchelli ha stabilito che «… nel corso delle interviste si riportano esperienze personali determinate e specifiche che non consentono di porre "sotto processo" per doping l'intero ambiente del ciclismo professionista italiano, anche se sollecitano, proprio a maggiore tutela dei ciclisti, una rinnovata attenzione al fenomeno».
Nel procedimento Danilo Di Luca è stato assistito da Fiorenzo Alessi, legale romagnolo molto conosciuto nel mondo delle due ruote per essere stato anche l’avvocato di Riccardo Riccò.
«La professione che esercito, e l'esperienza acquisita negli anni, mi consentono ed inducono ad individuare un obiettivo nella complessiva normativa antidoping, sia in ambito di giustizia sportiva che ordinaria», sostiene Alessi. «Non ho alcuna remora o timore ad affermare che è giunta l'ora, quanto meno, di pensare e confrontarsi su di una ragionata, condivisa e legittima riforma del sistema. E' un tema ostico», prosegue, «particolarmente tecnico e sul quale si ritiene, per convenienza e quieto vivere, che non valga la pena di esporsi. Per il sottoscritto non è mai stato, e non è, così. Vale sempre la pena, nella vita come nello sport, di "combattere" per ciò in cui si crede. Ed io credo nel ciclismo, ma non che il ciclismo professionistico debba soggiacere alle stesse regole che attualmente vigono per le categorie minori (dai giovanissimi agli under-dilettanti) e, men che mai, per i cicloturisti».
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