Silvestrone schiaccia la sclerosi multipla pensando a Tokyo 

A 33 anni la terribile diagnosi, nel 2016 inizia la carriera con la racchetta ricca di trofei malgrado gli alti e bassi

PESCARA. Non si ferma Andrea Silvestrone. Non l’ha bloccato la sclerosi multipla, figurarsi il coronavirus. Si allena a casa, in attesa di poter tornare in campo con la carrozzina per giocare a tennis e collezionare altri trofei. A 33 anni, nel 2006, il destino gli ha cambiato la vita con una diagnosi tanto cruda quanto grave che un po’ alla volta lo ha costretto prima alle stampelle, poi al deambulatore e, infine, alla sedia a rotelle. «Me ne sono accorto una mattina», ricorda. «Dovevo spegnere la sveglia e in quel momento ho avuto la prima sensazione degli arti che non rispondevano ai comandi. Da Bologna la conferma di una malattia che ho deciso di combattere a modo mio». Nel 2016 la folgorazione per la racchetta. «Ero a pranzo e vidi un servizio in televisione sul tennis paralimpico. Rimasi sbalordito, da lì la volontà di provare. E così sono andato alla ricerca di un insegnante. Ero portato e nel giro di 7-8 mesi ho vinto il titolo italiano di doppio con Giuseppe Polidori». Un punto di partenza perché l’attività di Andrea Silvestrone si è allargata a livello internazionale. «Il primo torneo fuori dai confini l’ho disputato a Barcellona, nel 2017, e sono tornato a casa con un titolo del doppio e la finale nel singolo». Una nuova frontiera che gli ha permesso di girare il mondo e di scalare posizioni su posizioni nel ranking mondiale fino ad arrivare al 29° posto. Anche perché sulla sua strada ha incrociato Bruna D’Albenzio, un passato da tennista e oggi insegnante. Che ne ha curato la preparazione atletica, tecnica e mentale. Una svolta per la carriera di Silvestrone che però ha avuto un brusco stop alla fine del 2018, «quando una domenica mattina di ritorno dalla palestra, a casa, mi ritrovo completamente paralizzato. Dalla testa in giù». Altro che tennis paralimpico! «Ho fissato il soffitto per tre mesi, nessun medico riusciva a indicarmi la strada per uscire fuori dal tunnel. Finché il mio amico Paolo Minnucci un giorno mi porta a casa un medico Ali Younes, d’origine libanese, uno dei migliori esperti al mondo di fibromialgia e malattie croniche. Lui aveva sentito parlare di me come atleta e quella mattina mi visita. Mi fa una prima diagnosi e mi dice: andiamo per step, prima togliere i dolori, poi il ritorno del sonno ristoratore e infine la discesa dal letto. Grazie a lui ho avuto la diagnosi di una patologia rara che non centra nulla con la sclerosi. Una patologia che attacca il sistema periferico e che», ironizza Silvestrone, «non potevo farmi mancare. Comincio a fare cicli di immonoglobulina in Molise, in una clinica. Il 28 marzo 2019 per la prima volta riesco a mangiare da solo. Da lì inizio una riabilitazione maniacale che mi sono imposto e che mi ha riportato sul campo».
A luglio del 2019 torna a giocare un torneo internazionale a Forlì. «Volevo misurare il mio grado di forma. Invece, inizio a vincere e alla fine arrivano un primo e un secondo posto, rispettivamente nel n doppio e nel singolo. Riporto due trofei a casa. A livello mentale sono ancora più forte. Ricomincio l’attività internazionale e vado a giocare in Belgio, in Turchia e in Ungheria». Fino alla scorsa estate, al di là di qualche sponsor occasionale, si finanziava con i montepremi vinti. Poi, a luglio, ecco la svolta con l’Unione Energie di Montesilvano che si offre di sostenerlo nell’attività sportiva. L’obiettivo era ed è Tokyo 2020, coronavirus permettendo.
Di Andrea Silvestrone impressiona la forza di volontà. «Tutte le disavventure possono essere trasformate in opportunità. Questo il senso della mia esperienza. Qualsiasi cosa ti accade, puoi ribellarti. Nel 2006 pensare alle mille cose che non potevo più fare non aveva senso; ho scelto di rivolgere il mio pensiero alle tante cose da fare. Mi resta un patrimonio di idee, affetti e amicizia. Lo sport mi permette di diffondere un grande messaggio. Nel tennis sono solo, non c’è una squadra. In campo porto la sfida contro le mie malattie. Sono un esempio per i miei figli che vedono il papà in carrozzina e mi considerano Batman. Lo sport è messaggio di libertà ed è un invito a porsi degli obiettivi. Se hai uno scopo ti senti vivo, riesci trasformare il tempo in storia».
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