Vi ricordate Pasculli? Dal Mondiale con Diego alla guida del Lanciano 

L’ex bomber argentino nuovo tecnico dei frentani in Eccellenza «Maradona una divinità, ecco come andò con la mano di Dio» 

LANCIANO . Il Mondiale dell’86’, l’amicizia con Maradona, gli anni d’oro al Lecce e poi l’avventura in panchina che l’ha portato a girare il mondo e ad allenare perfino in Uganda. Ora l’ex attaccante Pedro Pablo Pasculli a 62 anni fa tappa a Lanciano. Il campione del mondo argentino è stato scelto dal presidente Max Pincione per guidare la squadra rossonera in Eccellenza dopo l’esonero di Bellè. Un debutto sfortunato per Pasculli che ha perso con la Torrese e cercherà di rifarsi domenica con la Bacigalupo. «La squadra non sta ancora bene fisicamente perché nell’ultimo periodo si è allenata da sola e ha avuto diversi casi Covid, quindi ci vuole tempo», dice il neo allenatore dei frentani che si racconta tra passato e presente.
Pasculli, che ci fa a Lanciano?
«È una bella sfida in una piazza importante che ha fatto la serie B. Sono stato contattato da una persona vicina a Pincione. Ho parlato in videochiamata col presidente che era in collegamento dall’America e mi ha voluto qui».
Lo sa che c’è un clima ostile e che i tifosi non vogliono Pincione?
«Mi hanno accennato qualcosa. Cercheremo di fare l’impossibile per riavvicinare i tifosi alla squadra. L’obiettivo è fare i play off».
Lei da giocatore è cresciuto nel Colon e poi nell’Argentinos Juniors ha giocato con Diego Armando Maradona, con il quale ha vinto il Mondiale in Messico nel 1986. Che ricordi ha?
«Vincere il Mondiale è il sogno di ogni bambino, farlo con il Dio del calcio è come toccare il cielo con un dito. Io feci gol agli ottavi contro l’Uruguay. Se non avessi segnato in quella partita, che è stata la più dura del torneo, non avremmo mai visto la mano di Dio e il gol del secolo di Diego ai quarti con l’Inghilterra».
Lei cosa ha provato vedendo quei gol dal campo?
«Quando ho visto Diego scartarsi mezza Inghilterra, non volevo crederci. Correre 70 metri palla al piede con gli inglesi che gli si buttavano addosso come kamikaze e avere la lucidità di dribblare anche il portiere è stato qualcosa di soprannaturale. Noi esseri normali non avremmo mai potuto farlo, solo lui poteva».
E la mano di Dio?
«Un colpo di genio. Noi dal campo non ci siamo resi conto, pensavamo l’avesse colpita di testa. Abbiamo iniziato a capire quando abbiamo visto gli inglesi rincorrere l’arbitro. Poi, però, quando ha segnato quel gol incredibile sono rimasti tutti zitti».
Ci racconta qualche aneddoto di quel Mondiale tra lei e Maradona?
«Eravamo compagni di stanza. La notte prima della finale con la Germania, non riuscivo a dormire. Diego, invece, era tranquillo, scherzava e mi disse: “Pablo, dormi sereno. Domani ci penso io”. In molte riunioni prendeva la parola e ci diceva: “Quando avete problemi date la palla a me che ci penso io”. Non ti faceva pesare che era Maradona e trasmetteva grande serenità».
Fuori dal campo che ragazzo era?
«Si è parlato tanto di lui. Non ha mai imposto agli altri di fare quello che faceva lui e si è sempre preso le sue responsabilità per le sue azioni. Era umile, eccezionale, con un cuore grandissimo. Ha aiutato tante persone: faceva beneficenza, regalava biglietti a chi non poteva comprarli. Non sapeva dire di no. Faceva tutto di nascosto, senza farsi pubblicità».
Quando l’ha sentito l’ultima volta?
«Gli ho mandato un messaggio quando ha compiuto 60 anni. Volevo parlare con lui, ma le persone che lo circondavano non gliel’hanno permesso. La sua morte ha lasciato un grande vuoto. Se n’è andato il Dio del calcio, il più forte di tutti».
La presenza di Maradona al Napoli ha influito anche sulla sua scelta di venire in Italia a giocare nel Lecce nel 1985?
«Sì, perché in Italia c’erano grandi campioni. Si giocava davanti a 50mila persone, la domenica era una festa. Era un altro calcio. La vittoria all’Olimpico con la Roma, che perse lo scudetto contro di noi già retrocessi, resta alla storia. Ma io di Lecce ricordo soprattutto l’anno con Mazzone quando sfiorammo la qualificazione in coppa Uefa. Lecce è diventata la mia casa, vivo lì da anni».
Appesi gli scarpini al chiodo, ha girato il mondo: è stato ct dell’Uganda, poi ha allenato la Dinamo Tirana, le giovanili del Lecce e nei dilettanti prima di finire al Bangor City. Si aspettava una carriera diversa da allenatore?
«Avrei voluto avere più spazio in Italia in categorie importanti. A me piace molto lavorare con i giovani. Chissà in futuro magari riuscirò ad allenare nei professionisti. Ora, però, penso al Lanciano».
Giammarco Giardini
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