Abusi sul figlio della convivente: condannato a 4 anni e 2 mesi 

Pena più alta di quella chiesta dalla Procura, il 35enne accusato di violenza sessuale resta in carcere La vittima all’epoca dei fatti aveva 16 anni. Messaggi su Whatsapp: «Se parli, siamo tutti rovinati» 

TERAMO. C’è voluto il coraggio di una mamma, che non ha fatto finta di non vedere, per far arrivare questa storia in Procura. Perché dalla sua denuncia è partita l’inchiesta che ha fatto scattare l’arresto del suo ex convivente con la pesante accusa di aver abusato di suo figlio minorenne, un ragazzo nato da una precedente relazione della donna e che all’epoca dei fatti aveva 16 anni.
L’uomo, un 35enne, ieri mattina è stato condannato a quattro anni e due mesi con il rito abbreviato (che prevede la riduzione di un terzo della pena in caso di condanna) davanti al giudice Roberto Veneziano che in precedenza aveva rigettato la richiesta di patteggiamento a due anni per l’imputato definendo la pena non congrua. Con il rito abbreviato la Procura (fascicolo del pm Francesca Zani, in aula il procuratore Ettore Picardi) aveva chiesto una condanna a tre anni. Il ragazzo e la mamma si sono costituiti parte civile rappresentati dall’avvocato Libera D’Amelio. Oltre che di violenza sessuale, l’uomo è accusato di violenza privata per aver intimato al ragazzino di non raccontare a nessuno quanto successo «altrimenti», così si legge in un messaggio Whatsapp agli atti dell’inchiesta, «le nostre vite sarebbero state rovinate». L’uomo (difeso dall’avvocato Davide Occhipinti) resta detenuto nel carcere di Novara, città dove all’epoca venne fermato mentre era in visita ad alcuni parenti. Una ricostruzione, quella che emerge dall’ordinanza di misura cautelare, per cui gli abusi sarebbero avvenuti nelle ore notturne e quando la mamma del ragazzino non c’era. Con tanto di messaggi su Whatsapp che nell’ordinanza vengono definiti «dal contenuto sessualmente esplicito» con i quali lo invitava ripetutamente ad incontrarsi con lui. A far scattare le indagini la denuncia della mamma del minorenne, all’epoca convivente dell’uomo, che aveva intuito nell’atteggiamento del figlio qualcosa che l’ha subito insospettita. Fino al drammatico racconto del ragazzo. Accuse che il giovane ha poi confermato nel corso dell’incidente probatorio chiesto ed ottenuto per cristallizzare la testimonianza del minore. Come primo passaggio c’è stato l’affidamento di una perizia psicologica per stabilire l’attendibilità dello stesso minore. Passaggio obbligato così come stabilito dalla Carta di Noto che da tempo detta le linee guida per l’esame dei minorenni in caso di abuso sessuale.
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