Asl Teramo, la Regione salva Varrassi dal licenziamento

Chiodi e i suoi assessori per ora non licenziano il direttore Asl plurindagato. Quattro ore per decidere di mandare gli atti all’avvocatura dello Stato

TERAMO. Giustino Varrassi è ancora direttore generale della Asl di Teramo. La giunta regionale ieri pomeriggio, dopo quattro ore di discussione, ha deciso di rinviare di 30 giorni il verdetto sulle sorti del direttore generale.

La discussione. La giunta si è riunita alle 15. La presenza del capogruppo Lanfranco Venturoni ha indotto osservatori esterni a supporre che stesse intervenendo per perorare la causa del manager aquilano, ma stava relazionando circa la discussione in commissione sulla Finanziaria. Poi l’argomento-Varrassi ha monopolizzato l’attenzione degli assessori per quattro ore. I funzionari della Regione hanno illustrato le proprie tesi: sostanzialmente hanno dato il via libera alla rescissione del contratto del direttore generale, cioè a concludere quell’iter avviato il 29 ottobre, quando la giunta, all’unanimità, approvò la delibera in cui si disponeva il suo “licenziamento”.

Il problema è però che la giunta ha chiesto un parere a un avvocato, Federico Tedeschini, che ha detto l’esatto contrario. In sostanza Tedeschini ha consigliato di sospendere ogni determinazione in quanto le condotte contestate a Varrassi non sono sufficienti ad applicare l’articolo 3 bis comma 7 del decreto legislativo 502/92. In caso contrario Varrassi potrebbe anche avviare un’azione risarcitoria nei confronti della Regione. Il parere non è di scarso peso: Tedeschini, avvocato romano di origini aquilane, è professore di ruolo nella facoltà di sociologia dell'università"La Sapienza".

A questo punto gli assessori - era assente solo Carlo Masci - hanno deciso di chiedere un parere “terzo” e hanno chiamato in causa l’Avvocatura dello Stato. Nella delibera, anche questa adottata all’unanimità come quella del 29 ottobre, si dispone una proroga della fase delle indagini e la giunta si dà altri 30 giorni, entro cui arriverà presumibilmente il nuovo parere, per decidere. Più volte, nel corso della discussione, è stato citato il “caso Di Francesco”, cioè il braccio di ferro che la Regione innescò mandando via un altro manager della Asl di Teramo, anni fa.

Le inchieste. Sono quattro le inchieste avviate dalla procura teramana che vedono indagato Varrassi e che potrebbero far configurare l’ipotesi prevista dalla norma in questione, cioè «violazione di leggi o del principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione» per cui la Regione ha deciso di rescindere il contratto.

Le inchieste sono quattro, ma al momento della delibera di riconferma dell’incarico del manager erano tre. E nella delibera che “promuoveva” Varrassi il 29 agosto c’è una postilla, in cui la giunta regionale chiede gli atti alla procura.

Due inchieste sono chiuse: quella sull’utilizzo indebito dell’auto blu da parte del manager e quella sugli ingiusti vantaggi che sarebbero stati dati all’urologo Corrado Robimarga. Sono ancora in corso le inchieste sulla mancata apertura di un procedimento disciplinare nei confronti di un medico dipendente della Asl indagato per turbativa d’asta. Nella documentazione chiesta dalla Regione alla procura non era compresa la quarta inchiesta, in quanto più recente: a metà ottobre carabinieri e guardia di finanza hanno sequestrato il laboratorio del centro di fisiopatologia della riproduzione, aperto senza l’obbligatoria autorizzazione regionale e l’iscrizione al registro dell’Istituto superiore di sanità.

Le reazioni. Nella maggioranza, al momento, solo bocche cucite. L’opposizione, invece, osserva che «ancora una volta questa decisione», commenta il consigliere regionale Claudio Ruffini (Pd), «è lo specchio dei contrasti e delle contraddizioni di questa maggioranza. Contrasti fra chi lo vuole mandar via e chi no, contraddizioni perchè quando si poteva mandarlo via senza correre alcun rischio non è stato fatto mentre ora lo vogliono”licenziare” ma temono di dover pagare i danni. A farne le spese sono i cittadini: la sanità è amministrata da un manager “sospeso”, con minore autorevolezza. I pazienti non si sentono tutelati e aumenta la mobilità passiva».

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