Biasi, banchiere ombra della Val Vibrata

Così i crac delle aziende di Colonnella mettono in crisi la holding del piccolo Cuccia

TERAMO. «Biasi? Chi lo ha visto mai. In dieci anni di lotte e di crisi non è mai venuto a Colonnella. Per lui parlavano i suoi dirigenti, come Francesco Dattoli che riferiva a Verona le nostre richieste». Per gli ex operai della Bluterma e della Bluradia, le due aziende travolte dal crack, è un uomo ombra Paolo Biasi, 72 anni, il banchiere-industriale più potente del Nord Est, presidente della Fondazione Cariverona e maggiore azionista della Unicredit di Alessandro Profumo.

Da Monsanpolo (Ascoli Piceno) dove fonda la Itemar, fabbrica di termosifoni, Biasi, o meglio il gruppo di famiglia, la holding veronese Biasi spa, si sposta in Val Vibrata, alla fine degli anni Novanta, per aprire la Bluterma e la Bluradia: 98 operai la prima e 180 la seconda, sempre per fabbricare radiatori.

IL TALLONE D'ACHILLE.
Rispetto alla holding, le due aziende di Colonnella sono realtà minuscole che però, nel 2008, diventano una buccia di banana, un tallone d'Achille, per il potente banchiere veneto.

Dal fallimento alla doppia imputazione per bancarotta preferenziale, passano solo 24 mesi. Ma Biasi a Colonnella non si fa mai vedere dai suoi operai. Così come in procura, a Teramo, i magistrati non sanno neppure che volto abbia. Neppure ora che è imputato si è mai presentato al secondo e terzo piano del palazzo di giustizia, dai due pm, Bruno Auriemma e Davide Rosati che lo accusano, pur avendo avuto la possibiltà di depositare memorie difensive prima che decidessero il rinvio a giudizio.

De minimis non curat pretor, il giudice non si cura delle cose piccole. Così il banchiere Biasi in Abruzzo resta uomo ombra. Lui che a Verona è chiamato il piccolo Cuccia; che da vent'anni è presidente della Fondazione Cariverona e che detiene il 5,8 per cento delle quote di Unicredit.
Ha ereditato il comando della Biasi spa che ha sede legale, a Verona, in una via importante che porta il nome di suo padre, Leopoldo Biasi, capostipite e fondatore del gruppo. Ed ha blindato la società piazzando parenti nei punti strategici, come il fratello Eugenio Giovanni Biasi, finito sott'inchiesta per il crack Bluradia insieme con il fedele dirigente Francesco Dattoli, salito in Abruzzo dalla Puglia.

FA GRANDE LA SUA CITTA'.
A Verona è considerato il mecenate. La sua Fondazione Cariverona, solo negli ultimi cinque anni, ha erogato per la città scaligera la bellezza di 705 milioni di euro, cambiando il volto di università, ospedale e centro storico. Il piccolo Cuccia ha un potere enorme e uno stile da democristiano d'altri tempi. Smussa gli spigoli, più che entrare in conflitto con il potenziale avversario. Così, con i leghisti e con il sindaco Flavio Tosi, che a Verona rappresentano il blocco di potere alternativo, Biasi stringe un patto.

A Verona si dice che i due si sveglino all'alba e che alle 6,30 stiano già nella stanza della presidenza della Fondazione Cariverona per parlare di affari e cultura. A Verona si dice anche che venerdì prossimo, quando il consiglio generale della Fondazione si riunirà, per nominare 25 nuovi consiglieri in scadenza, entrerà Giovanni Maccagnini, già vicesindaco nel 1995 e quindi uomo di Tosi.

Ma a Verona, il banchiere Biasi è anche chiamato la sfinge, per quel suo modo di vivere lontano dalla mondanità. Alle 8,30 di sera è già al letto. Dicono anche se sia molto vicino al mondo dell'Opus Dei. Niente feste, niente vita di immagine. Impegna il suo tempo, Biasi, a mantenere in equilibrio un sistema banche-azienda-politica di cui lui è il perno. Un equilibrio, però, messo in crisi proprio da quella Val Vibrata dove non è mai stato. Vediamo come.

L'EFFETTO ABRUZZO.
Biasi deve al 5,8 per cento di azioni di Unicredit, detenuto dalla sua Fondazione, il carburante che ha tenuto in vita il suo gruppo Biasi spa che però, da luglio, scricchiola paurosamente. Con quel 5,8 per cento tiene anche a bada Profumo, con cui è in rotta di collisione perché il presidente di Unicredit ha aperto le porte ai libici di Gheddafi della scalata che vale il 7 per cento delle azioni Unicredit, quindi la maggioranza.
Grazie a quel 5,8 per cento e a una sorta di self service Unicredit, Biasi salva due volte l'azienda che in un anno (tra il 2008 e il 2009, a ridosso dei fallimenti abruzzesi di Bluterma e Bluradia) accumula 100 milioni di debiti con le banche.

A guidare il gruppo dei creditori c'è però la banca di Profumo, verso la quale Biasi è cliente e debitore. Dal 2008, quindi, Unicredit gli concede due salvataggi di 21 e 20 milioni. Il primo dei due servirà Biasi proprio per tamponare il crack abruzzese. Ma la Biasi spa non ce la fa lo stesso: nel luglio scorso alza bandiera bianca. Ottiene però una uscita soft: una liquidazione in bonis, volontaria. Ma il liquidatore è Eugenio Caponi: vicinissimo a Biasi perché è il suo vice all'interno della Fondazione.

EQUILIBRIO DELLA SFINGE.
La sfinge vacilla ma non cade. Resta in equilibrio. Persino ora che la procura di Teramo lo accusa di una doppia bancarotta, il Cda della Fondazione Cariverona (è accaduto venerdì) gli rinnova la fiducia, essendo composto da 7 biasiani doc. Persino quando, nel maggio del 2008, tre curatori fallimentari teramani del crack Bluterma, Fabrizio Acronzio, Andrea Lucchese e Fabrizio Meneguale, attivano una doppia azione revocatoria su 15 milioni di euro finiti nelle casse della Biasi spa ai danni della Bluterma, la sfinge resta in piedi. E' il passaggio chiave della doppia inchiesta per bancarotta preferenziale: la holding veronese rileva per 15 milioni (fornitigli da Unicredit) la consociata abruzzese con un'operazione di cash pooling, una cessione di crediti a una società veicolo dello stesso gruppo.

Di Bluterma e Bluradia cambiano proprietà sia le quote che i macchinari che finiscono in Turchia. I curatori tentano invano di dare lo stop a Biasi: c'è una causa civile a Teramo, che però finisce con una mera transazione di 1,6 milioni di euro.

«E' tutto regolare, è una operazione di cash pooling», fa sapere quattro giorni fa la Biasi spa. No, è una bancarotta, replicano dalla procura perché Biasi avrebbe girato fondi delle due imprese di Colonnella in crisi ad aziende del gruppo di famiglia, sottraendoli ai creditori. Ma anche in procura Biasi è un uomo ombra.

«Con la stampa si è difeso, a noi non ha inviato memorie. Non sappiamo che volto abbia. Fino a qualche giorno fa non sapevamo neanche chi fosse» sostengono nel palazzo di giustizia di Teramo dove qualcuno ora si fa sfuggire: «Noi qui siamo abituati a guardare i reati non i nomi. Una volta un magistrato firmò un decreto penale a se stesso senza accorgersene».

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