Clienti risarciti dalla data dell’acquisto 

È il nuovo principio stabilito dalla Corte d’appello, che conferma: «I risparmiatori non furono informati dalla banca»

TERAMO. Le sentenze non sempre fanno la storia, ma costantemente rappresentano fonti per scriverla. E mai come in quella delle azioni ex Tercas i verdetti dei giudici scandiscono la battaglia per i risarcimenti di centinaia di risparmiatori che, all’epoca dei fatti, da un momento all’altro si ritrovarono in mano titoli senza più valore. Dopo gli svariati pronunciamenti di primo grado a favore dei risparmiatori, ora c’è una nuova sentenza della Corte d’appello dell’Aquila a stabilire che da parte dell’istituto bancario non solo non ci fu un’adeguata informazione ai clienti (così come stabilito anche da altri pronunciamenti di secondo grado) ma che i risparmiatori «debbano essere risarciti con rivalutazioni ed interessi dalla data dei rispettivi ordini di acquisto fino all’effettivo soddisfo».
La sentenza (collegio presieduto da Barbara Del Bono, a latere Mariangela Fuina e Augusta Massima Cucina) assume una doppia valenza riformando su questo punto in particolare quella di primo grado e accogliendo in toto un nuovo ricorso della Ferderconsumatori che in questi anni ha assistito più di trecento risparmiatori affidandosi agli avvocati Renzo Di Sabatino e Massimo Cerniglia. Anche in questo caso i fatti contestati risalgono a prima del commissariamento Tercas del 2012 e, di conseguenza, a prima dell’ingresso della Banca Popolare di Bari. Quattro, in questo caso, i risparmiatori per somme che sfiorano centomila euro.
Scrivono i giudici: «Non può ritenersi assolto l’obbligo informativo della banca in ordine al tipo di strumento proposto come ogni forma di investimento, nella specie titoli azionari Tercas, quali titoli illiquidi, non potendo di certo ritenersi sufficiente a tal fine l’informazione fornita con le indicazioni riportate in via generale nel contratto quadro e nel contratto di consulenza, trattandosi di informazioni generali sulla tipologia di strumenti di investimenti del tipo poi oggetto dell’ordine di acquisto e, non invece, come avrebbe dovuto, di informazione specifica proprio di quel particolare titolo di investimento oggetto dell’ordine di acquisto con riferimento e raffronto con il profilo dell’investitore e valutazione di adeguatezza ed appropriatezza di quel tipo di investimento con la persona e gli interessi concreti di quel singolo investitore». Pronunciamento che trae linfa da svariate sentenze della Cassazione. E precisano i giudici d’appello in un altro passaggio della sentenza: «In relazione a un investitore con una profilatura relativa a un rischio medio, con investimento di durata da uno a tre anni e unica precedente esperienza del medesimo titolo di cui contesta ugualmente la mancanza di informazione e consapevolezza, non può ritenersi adempiuto l’insieme di doveri informativi della banca al fine di valutare l’adeguatezza dell’operazione proposta in relazione al tipo di investitore, considerata l’esistenza di un dichiarato conflitto di interessi che imponeva la prova da parte della banca di un investimento del tutto consapevole e la mancata informazione specifica sulla natura del titolo proposto ed acquistato come titolo illiquido che esauriva peraltro il 100% del portafoglio di investimenti del ricorrente». Va detto, così come evidenzia la Corte d’appello, che sul punto si è più volte espresso anche l’organismo Acf (Arbitro per le controversie finanziarie della Consob) che, in casi simili e proprio in linea con la Cassazione, «ha ritenuto violati gli obblighi informativi degli istituti di credito».
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