Debora Sbei, una vita sui pattini con il rimpianto delle Olimpiadi 

Ha vinto 15 mondiali, ha smesso a 26 anni e oggi fa l’allenatrice: «Trasmetto l’amore per questo sport Mi ha dato tanto e insegnato a superare i limiti, peccato non sia ancora riconosciuto a livello olimpico»

GIULIANOVA. Prima di essere mille altre cose questa è una storia tutta da scrivere nel nome di una bambina che a quattro anni correva sui pattini sognando di volare. E Debora Sbei il cielo lo ha toccato davvero. La bambina di allora è diventata una pluricampionessa di pattinaggio artistico a rotelle con 15 mondiali vinti e il suo nome a raccontare una delle tante belle pagine dello sport italiano. «Perché lo sport è passione, rigore, è vita» dice oggi che di anni ne ha 29 e che da tre ha smesso di gareggiare. «L’ho fatto nel momento più giusto» ti racconta mentre si divide tra i suoi impegni di allenatrice a Giulianova e quelli di studentessa universitaria di ingegneria edile ad Ancona. Resta un unico grande rammarico: l’emozione di una Olimpiade visto che il pattinaggio su rotelle non è ancora uno sport a cinque cerchi. Per lei come per Raffaella Del Vinaccio, l’altra campionessa sui pattini che tra gli anni ottanta e novanta fece sognare i teramani volteggiando sulle piste del mondo.
Si è mai pentita della scelta di ritirarsi?
«No. Sono convinta della scelta che ho fatto e la rifarei. È arrivata nel momento più giusto per la mia vita e la mia carriera. Oggi faccio l’ allenatrice e partecipo spesso ad esibizioni in Italia e all’estero. Il mio obiettivo è quello di trasmettere la passione per le rotelle ai bambini e anche ai grandi che desiderano avvicinarsi a questo sport attraverso la società Asd Giulianova pattinaggio artistico».
Vista con gli occhi di allenatrice qual è la situazione degli impianti sportivi sul territorio teramano?
«Ci muoviamo tra difficoltà che sono sempre maggiori perché il numero degli impianti negli anni è rimasto lo stesso mentre è cresciuto il numero delle società, di coloro che fanno sport. Dividersi gli spazi, dunque, è sempre più difficile. E non solo. Perché gli impianti cominciano anche a soffrire di una manutenzione sempre più carente. Non è una situazione rosea, anche perché i fondi a disposizione degli enti pubblici per questo sono sempre di meno. Ma credo che anche su questo fronte sia necessario non arrendersi, pensare al futuro con la speranza che anche su questo fronte le cose possano davvero migliorare».
Qual è il ricordo più bello che l’accompagna della sua carriera sportiva?
«Sono tanti perché tante sono state le competizioni, le vittorie. Sicuramente porterò sempre nel mio cuore la vittoria al primo campionato mondiale junior in Spagna e pi quella di Friburgo nel 2009 nel primo mondiale senior. In quest’ultima occasione soprattutto perché mi sono trovata a confrontarmi con una campionessa come Tanja Romano che è stata da sempre il mio idolo. Ma ogni competizione è stata bella, ogni gara mi ricorda qualcosa di importante anche perché questo sport mi ha permesso di girare tutto il mondo, di vedere posti bellissimi che forse non avrei mai potuto vedere, di conoscere gente che mi ha insegnato molto sia nello sport sia nella vita. Inoltre, grazie all’esperienza nei tornei nazionali e internazionali, ho avuto la possibilità di visitare molti posti in tutti i continenti soddisfando la mia voglia di viaggiare che ho sempre avuto».
Da allenatrice che cosa cerca di trasmettere con più forza alle sue allieve?
«Il mio obiettivo è trasmettere la passione per questo sport e insegnare che tutto va fatto con costanza. Naturalmente devono anche divertirsi ma cerco anche di insegnare a superare i limiti. Perché lo sport da questo punto di vista può essere di grande aiuto. Lo sport è forza, rigore, ma anche la capacità di superare i limiti che ognuno di noi ha. Io spero di diventare un’allenatrice brava come lo è stata per me Sara Locandro».
E lei perché ha iniziato a pattinare?
«È uno sport che è sempre piaciuto a mia mamma Natalina che però non lo ha mai potuto praticare. Ha giurato a se stessa che se avesse avuto una figlia l’avrebbe portata a pattinare e così è stato. E devo dire che per una bambina di quattro anni come ero io allora è stato subito amore a prima vista. Una volta messi i pattini ai piedi non li ho più lasciati. Inizialmente, come sempre avviene, è stato come un gioco. Poi è arrivata la disciplina dello sport e, soprattutto, di questo tipo di sport. Le regole sono ferree, ma ne vale davvero la pena perché quando pattino mi sembra di volare, di toccare il cielo con un dito. Poi il pattinaggio, come anche altri sport, è una metafora della vita. Durante gli allenamenti capita di cadere, poi ci si rialza e si ricomincia con maggiore determinazione. E nello sport, come nella vita, bisogna lottare per raggiungere gli obiettivi. E l’equilibrio è fondamentale per stare bene. Devo dire grazie a mia mamma Natalina, a mio papà Delfino e mio fratello Antonio che in tutti questi anni mi sono sempre stati vicino. L’appoggio e della mia famiglia è stato fondamentale e continua ad esserlo».
Ha vinto tutto quello che c’era da vincere, ma resta il rammarico di non aver potuto partecipare ad una Olimpiade perché il pattinaggio su rotelle non è riconosciuto come specialità olimpica.
«Da questo punto di vista il rammarico è grande anche perché sono convinta che per un atleta l’emozione di una Olimpiade sia qualcosa di irripetibile. Lentamente qualcosa si sta muovendo visto che nel 2020 la federazione parteciperà ai giochi olimpici di Tokyo con la specialità dello skateboard. Chissà, magari quando arriverà anche per il pattinaggio potrò esserci come allenatric e».
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