«Dopo Melania una strage senza fine» 

Michele Rea: «Nessuna giustizia per mia sorella e le centinaia di altre donne che in Italia sono state uccise dopo di lei»

TERAMO. Tra il dolore e la rabbia resta uno spazio infinito: quello per trovare un senso e continuare a vivere. Ci finisci all’improvviso e il senso di ingiustizia ti soffoca. Michele Rea asciuga ogni retorica nei giorni di un altro anniversario senza sua sorella Melania massacrata con 35 coltellate sferrate dal marito Salvatore Parolisi il 18 aprile del 2011 nel bosco di Ripe di Civitella del Tronto. Perché sono passati tredici anni da quel giorno, ma è ancora oggi. In questa Italia che non smette di contare le donne ammazzate, ci vuole sempre una faccia, una storia per capire cosa perdiamo, quale vuoto e quale scia di dolore si lasciano dietro. «Per me e per la nostra famiglia è come se fosse successo ieri», dice, «ma la vita trova sempre la strada per andare avanti e per noi l’ha trovata con nostra nipote, la figlia di Melania, che cerchiamo di far crescere nella maniera più serena possibile. Più cresce e più assomigli a Melania».
Dopo Melania è arrivata la legge contro il femminicidio, ma la strage continua. Che cosa manca?
«Manca la certezza della pena in questo Paese in cui lo Stato continua a guardare questo infinito elenco di donne uccise da uomini. Qualcosa a livello di leggi è stato fatto e basti pensare proprio alla legge sul femminicidio arrivata dopo la morte di Melania. Ma non basta. Serve altro. Guardi il caso di Melania e pensi che il suo assassino potrà uscire dal carcere e rifarsi una vita, come se l’omicidio fosse stato una parentesi. Io non credo che chi ha ucciso in quel modo possa redimersi, possa pentirsi. Penso che chi ha fatto una cosa così possa rifarla. Dopo l’omicidio di Melania la mia famiglia ha fondato un’associazione contro la violenza sulle donne perché l’attenzione resti sempre alta, ma è lo Stato che deve fare di più. Invece resta al balcone a guardare gli omicidi che aumentano, a fare sconti agli assassini che possono rifarsi una vita. Ma alle vittime chi ci pensa? A chi sopravvive giorno per giorno? A chi cresce bambini che restano soli?».
L’ex caporal maggiore Salvatore Parolisi, il marito di Melania, è stato condannato a una pena definitiva di vent’anni dopo che la Cassazione ha eliminato l’aggravante della crudeltà. Lei crede sia stata fatta giustizia? «Non posso dire che Melania abbia avuto giustizia perché non l’ha avuta. Il marito l’ha uccisa con 35 coltellate mentre la loro figlioletta di 17 mesi era in auto, l’ha lasciata agonizzante in un bosco e dopo qualche giorno è tornato ad oltraggiare il corpo per depistare le indagini. Ma per i giudici questo non vuol dire essere crudeli. Parolisi ha sempre mentito, ha mentito a noi, agli investigatori che cercavano la verità. Ha sempre raccontato bugie ma nonostante questo è stato premiato dalla giustizia che l’anno scorso gli ha concesso di uscire per un permesso premio. E anche in quest’occasione ha continuato a mentire, a dire bugie. I permessi sono stati bloccati, ma sappiamo tutti che prima o poi per lui arriverà il momento di uscire. Potrà tornare dai suoi familiari, ma mia sorella non tornerà più da noi e dalla sua bambina. La nostra Melania non potrà mai vedere che splendida ragazza è diventata la sua bambina».
Dopo tanti anni dalla morte di Melania qual è il ricordo di lei che l’accompagna?
«Il sorriso di mia sorella, la sua voglia di vivere e di fare la mamma, il suo amore per l’uomo che le avrebbe tolto la vita. Tutte le volte che guardo mia nipote vedo lei, quello che avrebbe potuto essere e non sarà mai, quello che avrebbe potuto dare a noi familiari e che non potremo avere. Era contenta della sua vita, del suo matrimonio, quando ci vedevamo la sua voglia di vivere contagiava tutti. Ecco, il ricordo di Melania è Melania stessa. Eravamo molto uniti e ci sentivamo tutti i giorni. Ci eravamo sentiti il giorno prima del suo omicidio. Avevamo parlato dei programmi per la Pasqua che era imminente, di come cresceva mia nipote. Dei fatti di tutti i giorni. È stata l’ultima volta che ho sentito la sua voce».
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