Fabbriche ancora attive «La prefettura controlli» 

Metalmeccanico, i sindacati segnalano che alcune aziende non hanno chiuso Intanto più di 20 imprese di vari settori chiedono una deroga del decreto Conte

TERAMO. Non è facile fermare le fabbriche. Il decreto di Conte prevede la fermata per le aziende di alcuni settori, in particolare il metalmeccanico, che non operano in settori strategici per l’emergenza coronavirus. Attualmente sono più di venti le fabbriche in provincia che hanno chiesto alla prefettura una deroga alla chiusura perchè fanno prodotti in qualche modo coinvolti nel superamento dell’emergenza.
Per il settore metalmeccanico, quello più coinvolto nella fermata, Fiom Cgil e Fim CIsl osservano che in provincia molte aziende si sono subito attenute alle disposizioni. «Alcune, invece, utilizzando interpretazioni impropriamente estensive di alcuni commi del decreto», fanno notare Mirco D’Ignazio (Fiom) e Marco Boccanera (Fim), «hanno preteso che tutti i lavoratori fossero presenti in fabbrica d hanno intenzione di continuare con le produzioni». Da qui la richiesta di un intervento al prefetto perchè imponga il blocco. Il decreto dà possibilità alle aziende di rimanere aperte fino al 25 non per produrre ma per operazioni accessorie, come spedire gli ordinativi. E prevede che qualcuno resti a sorvegliare alcuni macchinari che non si possono fermare (ad esempio gli altofoni). «Non è possibile che con la scusa di mettere in sicurezza impianti e macchinari che non possono essere spenti per motivi di sicurezza si facciano lavorare tutti gli operai portando avanti le produzioni. Così come non è possibile sfruttare la possibilità di completare le attività necessarie alla sospensione fino a mercoledì 25 per andare avanti fino a quella data come se il blocco non fosse immediato», fanno notare Boccanera e D’Ignazio, «non si può consentire che il profitto continui a passare sulle teste di lavoratrici e lavoratori: ognuno si deve assumere le proprie responsabilità e fare la propria parte».
Sull’argomento interviene anche la federazione provinciale del Pci che chiede «a chi di competenza, se la vita umana deve essere messa in secondo piano rispetto al guadagno; se sia accettabile che la Confindustria faccia la morale sulla necessità di produrre invocando sacrifici, esponendo i lavoratori al rischio contagio, e nel mentre i suoi dirigenti sono al sicuro comodamente a casa, lavorando da remoto; a quali criteri di “elementi di essenzialità” tali da non poter sospendere per due settimane l’attività».
Un appello arriva anche dalla Metalferro di Castenuovo, che da sabato ha fermato completamente l’attività. Pasquale Di Giacinto, l’amministratore unico, osserva che lo stop è sicuramente un danno, che dunque la decisione è difficile ma è necessaria «a tutela del nostro territorio». «Oggi è il momento in cui tutti devono restare a casa dai propri cari», conclude. (a.f.)
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