Gli svuotano la carta Poste pay Il giudice: «La società risarcisca» 

Teramano risponde a un sms per un presunto blocco ma è un inganno: con i soldi comprano gioielli Il tribunale accoglie il ricorso: «L’operatore deve garantire sistemi di controllo e sicurezza ai clienti»

TERAMO. Oggi che il web rappresenta il terreno più fertile per truffe e raggiri e che la platea di potenziali vittime si è notevolmente allargata nei giorni in cui internet è stato l’unico mezzo per esserci sempre e comunque nei tempi dei lockdown, questa è una sentenza che scandisce la cronaca e segna un punto a favore delle vittime.
Perché il giudice onorario di pace Enrica Isidori ha accolto il ricorso di un teramano che si è visto svuotare la carta Poste Pay di 3.300 euro dopo aver risposto a un messaggio risultato perfettamente uguale a quello ricevuto in altre occasioni dalla stessa società e ha condannato Poste Pay al rimborso. «Si rileva», ha scritto il giudice nella sentenza, «che il consumatore non è certamente in grado di valutare oggettivamente i rischi connessi all’utilizzo di tale tipologia di transazioni via internet e il gestore ha l’onere esclusivo di assicurarsi che tali operazioni siano gestite lecitamente e correttamente. In definitiva l’operatore ha l’obbligo di rendere indenne il cliente da eventuali truffe ai suoi danni e risponde in caso di inadempimento».
In questo caso il cittadino (assistito dall’avvocato Antonio Del Vecchio) un giorno ha ricevuto un sms che risultava provenire dall’area messaggistica di Poste ma, ha scoperto solo dopo, così non era visto che in realtà era il cosiddetto sistema del phishing, ovvero una truffa informatica messa a segno con il furto di tutti i dati sensibili. Con l’arrivo messaggio l’uomo veniva avvisato che c’era stato un blocco dei suoi prodotti Postepay e Bancoposta e veniva invitato a seguire la procedura di sblocco. Il cittadino aveva subito seguito tutte le istruzioni immettendo i suoi dati, ma pochi istanti dopo si era accorto che con la sua carta in una gioielleria di Ercolano erano stati comprati gioielli per una valore di 3.300 euro, ovvero tutto quello che c’era di disponibile. Immediata la denuncia alle forze dell’ordine e la richiesta di rimborso con il successivo ricorso al giudice di pace. Che nella sentenza di accoglimento ha scritto: «Sicuramente il ricorrente è stato tratto in inganno in quanto non poteva controllare in alcun modo la provenienza del messaggio e la sua eventuale finalità truffaldina, anche in considerazione del fatto che si presentava nell’area cliente e proveniva da Poste Italiane. Si deve quindi riscontrare una forma di negligenza della società convenuta, che ha agito in modo imperito in quanto non ha posto adeguati sistemi di controllo della sicurezza e di segnalazione immediata dell’illecito, alfine di garantire le operazioni effettuate dai clienti tramite internet».
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