francavilla al mare

Cellula della 'ndrangheta viveva di usura, roghi e cocaina: scattano 19 arresti

Il clan calabrese dei Cuppari gestiva bar, maneggio e sale per scommesse. La base a Francavilla al Mare: le vittime punite con incendi e un tentato omicidio

CHIETI. Estorsione, usura, tentato omicidio, spaccio, incendi dolosi, intestazione fittizia di beni con l’aggravante dei metodi mafiosi. Manca solo il “pizzo”, ma la ’ndrina di Africo, sembra aver messo le mani sull’Abruzzo, ed essersi ben ramificata all’interno del tessuto sociale e produttivo, tanto che ieri mattina, quando i carabinieri del nucleo investigativo di Chieti hanno eseguito arresti e messo sigilli, qualcuno si è risentito per aver perso il lavoro. Viene da lontano l’operazione “Design”, che ieri ha portato in cella nove persone, e altre nove agli arresti domiciliari. Una decima persona, destinataria di un provvedimento di misura cautelare in carcere, è ancora ricercata. Per altri nove sono state disposte misure interdittive ma non detentive, come l’obbligo di dimora o l’interdizione a esercitare attività imprenditoriali o rivestire cariche societarie.

'Ndrangheta, droga e usura: 19 arresti a Chieti
Si chiama «Design» l’operazione antimafia diretta e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di L’Aquila e condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo Provinciale di Chieti, in corso dalle prime luci dell’alba con l’esecuzione di 28 ordinanze applicative di misure cautelari di cui 10 in carcere, 9 agli arresti domiciliari e 9 non detentive ed interdittive, nei confronti di soggetti calabresi e abruzzesi indagati di associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti, usura ed altro. L’operazione è in corso in varie province d’Abruzzo, Lombardia, Calabria e Campania. Oltre 100 i militari dell’Arma impiegati. (video Lorenzo Colantonio)

A capo della cellula abruzzese, secondo la Procura, Simone Cuppari, 36enne di origini calabresi e da tempo residente sulla costa chietina. Le investigazioni hanno evidenziato «un efficiente e proficuo canale di approvvigionamento di ingenti quantità di cocaina, da un analogo gruppo di affiliati alla ‘ndrangheta, stanziati in Lombardia, a loro volta riconducibili, per vincoli di sangue o parentela acquisita, alle famiglie della “Locale di Platì”, dai quali approvvigionavano carichi di cocaina con cadenza periodica». Due anni di indagini, al termine dei quali la Procura distrettuale antimafia dell’Aquila, guidata dal procuratore Michele Renzo, ha rimesso a posto tutti i tasselli del variegato puzzle, fino a descrivere un sistema che si autofinanza con attività illecite e reinveste, ripulendo i capitali, in operazioni immobiliari.

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La prima tessera del mosaico è la vendita della droga. I rifornimenti, secondo gli investigatori, avvengono con una certa regolarità, quasi con cadenza mensile. Attraverso lo spaccio si riescono a finanziare le attività usuraie, col solito seguito di intimidazioni alle vittime, ridotte in una condizione di totale assoggettamento e omertà, spesso costrette a cedere la casa o il negozio, per non aver potuto far fronte agli interessi del 250%. Emblematico è il caso di un’imprenditrice, che per un debito di 20mila euro maturato dal figlio, si trova costretta a servire a vendere un’altra attività commerciale in Liguria per saldare il dovuto, dopo l’incendio del locale. Particolarmente significativo anche il caso dell’imprenditore che a fronte di un prestito di 20mila euro si trova costretto a restituirne 40mila il mese successivo. Visto che non riesce a pagare, il debito in breve tempo arriva a 220mila euro. Nessuno, come hanno sottolineato gli investigatori durante la conferenza stampa, ha mai denunciato. In questo ambito di droga, estorsione e intimidazione, si inquadra anche il tentato omicidio commesso a Ortona nel 2013, quando un uomo è fatto bersaglio di colpi di pistola mentre si trova sulla sua auto.

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Grazie ai proventi dell’usura, poi, si rende possibile l’acquisto di bar, agenzie di scommesse, autosaloni, e persino di una quota societaria pari a circa sei milioni di un enorme complesso turistico situato a Brancaleone, in provincia di Reggio Calabria. Un mega insediamento da 250 milioni di euro di valore complessivo, più volte oggetto di sequestri da parte delle procure di mezza Italia. A mettere la firma sulle richieste cautelari avanzate dal sostituto Antonietta Picardi, è stato il gip Giuseppe Romano Gargarella. L’indagine è stata affidata ai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Chieti, diretti, rispettivamente, dal colonnello Erminio Sacco, e dal colonnello Luciano Calabrò. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati i proventi di quattro società fra le province di Chieti, Pescara e in Calabria, che si occupano di commercio di auto online e raccolte di scommesse, un bar a Francavilla, ma anche pizzerie nella zona costiera di Chieti e Pescara Sud, otto autoveicoli e 10 chili di marijuana. Complessivamente, il valore dei sequestri sfiora i dieci milioni di euro. Le accuse sono pesantissime, con l’aggravante «dell’aver commesso il fatto sfruttando il metodo mafioso» contemplato nell’articolo 416 bis del codice penale, oppure dell’associazione armata. In tutto gli indagati sono 36.

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