Sulmona, l'imprenditore Pardi e due coniugi fermati per un traffico d'armi

La coppia è residente a Pescasseroli e l'uomo è convertito all'Islam. Il re degli elicotteri è di Sulmona e respinge le accuse di aver commerciato con Iran e Libia: "Sono estraneo, storia grottesca"

SULMONA. Mario Di Leva è un mercante di armi convertito all’Islam. Si faceva chiamare Jaafar, in onore del sesto Imam. Insieme a sua moglie Annamaria Fontana aveva preso la residenza a Pescasseroli da una decina di anni. Una villetta in località Fonte Fracassi. Ed è qui che ieri mattina sono stati rinvenuti documenti e supporti informatici «che confermano pienamente l’attività di commercio d’armamento e dual use con Paesi del Medioriente e del Nord Africa, con particolare riferimento all’Iran e alla Libia», scrivono i magistrati nell’ordinanza. Nei confronti di Mario Di Leva, 69 anni, e Annamaria Fontana, 63, è stato eseguito un provvedimento di fermo dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Venezia. Hanno collaborato anche i servizi segreti italiani. Nel decreto firmato dai pm della Dda di Napoli Catello Maresca e Maurizio Giordano, coordinati dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, viene contestato il reato di traffico internazionale di armi. Avrebbero fornito armamenti e munizioni a dispetto dell’embargo internazionale deciso dall’Unione Europea che impedisce questo tipo di commercio con Paesi inseriti nella cosiddetta black list.

Ma c’è dell’altro, con appendici sempre in Abruzzo. Perché la stessa accusa viene mossa ad Andrea Pardi, 51 anni, originario di Teramo ma cresciuto a Sulmona, amministratore delegato della Società italiana elicotteri di Roma, già coinvolto un’altra inchiesta su un presunto traffico di armi e reclutamento di mercenari tra Italia e Somalia e per il libico Mohamud Alì Shaswish.

Indagato in stato di libertà Luca Di Leva, figlio della coppia, anch’egli radicalizzato, come il padre. Una quarta persona, di origine libica, è ricercata. Si tratta di Mogamud Alì Shaswish. I coniugi sono stati fermati in una loro abitazione di San Giorgio a Cremano, comune dell’area vesuviana. Secondo gli inquirenti erano intenzionati a lasciare l’Italia. Le indagini dei finanzieri si basano su intercettazioni e sull’esame di sms, e-mail, messaggi whatsapp e materiale informatico. Ma ci sono anche pizzini. Tra il 2011 e il 2015, sono emerse forniture di eliambulanze trasformate in elicotteri da guerra missili terra-aria, missili anticarro di fabbricazione di stati dell’ex Unione Sovietica.

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Nelle carte dell’inchiesta si fa riferimento anche a macchinari destinati all’Iran per la produzione di munizioni. I coniugi Di Leva, con conti bancari in svariati Paesi stranieri, andavano spesso in Medio Oriente e in Nord Africa. Agli atti vi sono diverse foto in cui compaiono accanto all’ex premier della Repubblica islamica, Mahmud Ahmadinejad. E c’è anche dell’altro: attraverso appunti rinvenuti nel computer di Di Leva, si risale a un incontro con Hamed Margani, indicato come rappresentante di Abdel Hakim Belhaj. Quest’ultimo, stando a quanto riportato nel decreto di fermo, è considerato «combattente islamista e comandante dei ribelli anti Gheddafi della guerra civile libica iniziata nel 2011». I due sarebbero stati anche in contatto con i sequestratori di quattro italiani, rapiti in Libia nel 2015 (rapimento che si concluse tragicamente con l’uccisione di due ostaggi, Fausto Piano e Salvatore Failla). In uno scambio di messaggi su whatsapp tra marito e moglie si intuisce che i due abbiano conosciuto i rapitori in una fase di poco antecedente al sequestro. E i magistrati non escludono che abbiano avuto un ruolo per le trattative e il pagamento di un riscatto. A tal proposito, i coniugi verranno ascoltati dai pm romani.

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Sono «affari a tanti zero» sia quelli realizzati sia quelli non andati in porto «per cause indipendenti della volontà degli indagati», scrivono i pm. Si parla di accordi per la fornitura alla Libia (poi non concretizzati) di 13.950 fucili d’assalto M14, una eliambulanza convertibile ad uso militare, elicotteri di assalto sovietici MI-17, tre elicotteri Mangusta A129 e missili di vario genere. Va in porto invece la vendita di una serie di armamenti di produzione sovietica, tra cui missili anticarro e terra-aria nonché l’esportazione in Iran di pezzi di ricambio di elicotteri per la somma di 757.500 euro, attraverso una società panamense. Così come è coronata da successo l’introduzione in Iran di materiali per la produzione di munizioni. L’indagine è scaturita da una operazione del giugno 2011 su un esponente del clan dei Casalesi che era in contatto con un appartenente alla cosiddetta “mala del Brenta” coinvolto in un per traffico di armi e in una storia di arruolamento di mercenari.

Una decina le perquisizioni eseguite in varie regioni italiane. Nei confronti degli indagati lo scorso luglio era stata chiesta un’ordinanza di custodia cautelare per evitare la fuga. Il provvedimento non è mai stato emesso dal gip.

L’imprenditore Pardi, che siamo riusciti a contattare, dice di essere estraneo alla vicenda. «Una vicenda assurda e grottesca», sottolinea il manger sulmonese, «dove su motivazioni assolutamente inconsistenti mi si muovono accuse gravissime. Spero di chiarire entro brevissimo la mia totale estraneità a ogni addebito. I miei interessi su Pescara? Tutto procede senza sosta, i lavori inizieranno a brevissimo».

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