La stangata, Bankitalia chiede 208 milioni ai Cda Carichieti

Ventidue ex amministratori messi in mora. I commissari puntano il dito sulla "mala gestio" dell'istituto di credito. I conti: perdite per 300 milioni

CHIETI. «La mala gestio nella Carichieti è stata assunta a livello di sistema». E' tutto in questa frase il verdetto pesante e molto costoso che i commissari di Bankitalia, Salvatore Immordino e Francesco Bochicchio, hanno emesso nei confronti dei Cda della Cassa di Risparmio di Chieti che si sono susseguiti dal 2010 fino al 2 settembre di un anno fa, giorno infausto del commissariamento. La “mala gestio” per i due commissari ha un costo enorme: 208 milioni di euro che ciascuno dei ventidue personaggi chiamati in causa, dagli ex direttori generali, Francesco Di Tizio e Roberto Sbrolli, agli ex presidenti della banca, Tito Codagnone e Mario Falconio, insieme al drappello degli ex consiglieri e gli ex componenti dei collegi sindacali, dovranno risarcire in parti uguali. Si parla quindi di quasi dieci milioni di euro a testa che da ieri hanno improvvisamente trasformato in un incubo la vita dei ventidue personaggi e gli eredi di chi nel frattempo è deceduto.

La notifica dell'atto «di diffida e costituzione in mora» è in corso. E' cominciata venerdì sera, è proseguita ieri mattina, terminerà domani. I due commissari concedono appena 15 giorni ai ventidue per pagare. Ma è importante anche spiegare che si tratta di una messa in mora e non di una citazione vera e propria. La Banca d'Italia cioè scopre le proprie carte e diffida gli ex amministratori di Carichieti a risarcire. Questi, gli ex, possono anche restare inermi. Ma l’atto che hanno ricevuto interrompe la prescrizione che va indietro nel tempo per un massimo di cinque anni. Nessuno dei ventidue ha la possibilità di reperire in così poco tempo la cifra da capogiro che i due commissari, ormai giunti in dirittura d'arrivo, chiedono loro di pagare entro e non oltre il 5 di ottobre. Ma ciascuno di loro sa che da oggi ha una spada di Damocle che gli pende sul capo. L'avvertimento di Bankitalia è scritto in trenta pagine che ripercorrono le quattro ispezioni subite da Carichieti negli anni 2009, 2010, 2012 fino all'ultima del 2014. Trenta pagine che cominciano con questa frase: «I commissari straordinari hanno constatato che la prolungata e pervasiva mala gestio degli organi sociali ha provocato ingentissimi danni a quest'ultima». Quindi compare la cifra che fa paura agli ex messi in mora, cioè i 208 milioni di euro, ma Bankitalia non s'accontenta infatti aggiunge: «Fermo restando il diritto al risarcimento dei danni ulteriori che dovessero emergere».

Quindi parte l'elenco delle contestazioni quasi tutte note, ma spunta anche un nuovo capitolo legato alla Basilicata e «all'apertura e la gestione della filiale di Potenza, operazione posta in essere contro gli interessi aziendali e fonte di ingenti pregiudizi». Quindi le «anomalie nella gestione dei rapporti con la Fondazione controllante (naturalmente la ex e non quella attuale, ndr) e con soggetti ad essa collegati», e ancora le posizioni di «incagli» spacciate per semplici, seppur preoccupanti «sofferenze».

Ma balza subito agli occhi una apparente contraddizione perché l'intero castello accusatorio raccontato nelle trenta pagine poggia le sue basi su due grandi capitoli della vicenda Carichieti: l'operazione Merker, la fabbrica di rimorchi di Tocco da Casauria, che la banca, capofila di un pool di istituti, finanziò rimettendoci oltre 43 milioni di euro, e l'apertura a Milano della controllata Flashbank. Due fatti che però vanno oltre i termini della prescrizione e che peraltro, almeno per la “costola” milanese, vennero sanzionati in modo blando, per complessivi 216mila euro, rispetto alla cifra che viene chiesta oggi.

Sta di fatto che i due commissari fotografano la situazione di Carichieti al momento del commissariamento come quella di una banca con 453 milioni di sofferenze, 214 milioni di incagli e previsioni di perdite per 304 milioni. Il resto è già stato tutto scritto, come il ruolo che prima gli ispettori ed ora i commissari, imputano a Domenico Di Fabrizio, da loro definito l'autista che «ha influenzato, pervasivamente, tutte le attività della banca, dalla politica del personale, alle sponsorizzazioni, alla gestione di favore dei rapporti con le parti correlate». Così come rispunta la contestazione per non aver avviato «un'azione di responsabilità nei confronti dell'ex direttore generale Francesco Di Tizio». O ancora le «esposizioni anomale per il 70 per cento verso i primi venti gruppi», cioè i clienti doc, una lista che vedeva in cima gli imprenditori Repetto, Paglione e De Nicola.

Il 21 luglio scorso sono quindi partite le sanzioni amministrative contro gli ultimi amministratori in carica per un totale di 600 mila euro. Ma era solo il primo round, anzi uno “zuccherino” rispetto ai 208 milioni richiesti, come semplice diffida e non come atto di citazione ufficiale, a: Franco Caroli, Giuseppe Di Marzio, Fabrizio Fusco, Ennio Melena, Giuseppe Martino, Tito Codagnone, gli eredi di Nino Silverio, Vincenzo Farina, Mario Falconio, Sebastiano Nasuti, Filippo Achille Rosa, Antonio Della Pelle, Domenico Di Fabrizio, Giuseppe Marone, Lucio Raimondi, Giovanni Angelozzi, Angelo Iecco, Massimo Sargiacomo, Giovanni Smargiassi, Francesco Di Tizio, Roberto Sbrolli e Basilio Ruscetta.

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