Bonanni: "Politica inerme di fronte alla crisi"

Intervista al segretario Cisl: "Ripresa economica lenta e faticosa. Dal sindacato non solo proteste"
PESCARA. Ultime giornate di riposo in Abruzzo per Raffaele Bonanni, numero uno della Cisl nazionale, in vista del rientro a tempo pieno nella attività sindacale che annuncia un altro autunno drammatico sul fronte del lavoro. Ieri, una passeggiata a Monte Pallano prima del rientro nella «sua» Bomba e la ripartenza per Roma in programma sabato, alla fine della pausa ferragostana. Diritto di sciopero, crisi globale e locale, i problemi dell'Abruzzo martoriato dai debiti della sanità, la difficoltà di far ripartire il treno dello sviluppo dopo la tragedia del terremoto.
Partiamo dalla polemica che ha coinvolto la Cisl, e lei in prima persona, dopo la frattura con la Fiom che non ha sottoscritto l'accordo di Pomigliano: il segretario della Cgil Abruzzo, Antonio Iovito, ha un po' ironizzato sulla sua idea di sciopero al sabato. Intende replicare?
«Ha già risposto il segretario regionale Maurizio Spina. Non voglio polemizzare con la Cgil Abruzzo».
Può però spiegare la sua idea di sciopero «morbido».
«Lo vado ripetendo da quando è cominciata questa drammatica crisi economica: il sindacato può proporre e protestare anche di sabato per evitare giornate di sciopero in aziende esauste, con gli stipendi delle famiglie ridotti a livelli molto bassi. Continuare questa polemica è davvero inutile».
Crisi che sembra destinata a perdurare. La ripresa non si vede, e se c'è è molto lenta.
«L'economia è debilitata ma la discesa violenta, almeno quella, si è fermata. La ripresa è ripartita in Germania, il guaio è che la crisi ha scavato un fossato così profondo che per risalire ci vorrà molto tempo».
Cosa manca all'Italia?
«Un terzo della imprenditoria nazionale ha saputo organizzarsi bene per affrontare le nuove sfide, tutti gli altri risentono della mancanza di ristrutturazioni e investimenti. Ritardi dovuti agli alti costi di sistema e alle condizioni di contesto».
Un esempio?
«E' quel che accade anche in Abruzzo, dove per effetto dei conti sballati della sanità le imprese sono costrette a sopportare una pressione fiscale insostenibile, in particolare l'Irap che è molto più elevata rispetto a una regione come la Lombardia. Altre condizioni difficili sono date dalle disfunzioni della pubblica amministrazione, dai costi esorbitanti della bolletta energetica, dalla mancanza di attività di servizio per le aziende. Ecco, per tutte queste ragioni, l'uscita dalla crisi sarà più complicata».
Il ceto politico non le sembra all'altezza della situazione?
«Vedo una classe dirigente inerme».
Si spieghi meglio. Perché inerme?
«Perché si preferisce fare casino. Parlare della crisi è facile, magari anche con vis polemica come quando ci si ritrova al bar. Ma non si riesce mai ad affrontare con serietà le cause dei problemi. Le istituzioni locali e centrali devono intervenire. Chiaro che non possono farlo investendo i soldi che non ci sono».
Cosa dovrebbe e potrebbe fare la politica?
«Intervenire sul contesto in cui operano le aziende per migliorarlo, ridurre gli sprechi, eliminare le disfunzioni e garantire i servizi».
Mercato dell'auto. E' ragionevole aiutare industrie che chiedono sussidi pubblici e dimezzano i contratti dei lavoratori per produrre vetture che si acquistano sempre meno?
«Se si parla della Fiat e della vertenza di Pomigliano, dico subito che non è così. Questa volta, la Fiat non ha chiesto soldi perché si è impegnata a investire circa 20 miliardi nei prossimi sei anni nella cosiddetta fabbrica Italia. Aggiungo che, senza la Fiat, il centro-sud non avrebbe mai sviluppato la piccola e media impresa».
Parla del modello Sevel in Val di Sangro?
«Esatto. In Val di Sangro ci sono settemila dipendenti Sevel e un indotto che porta lavoro a circa 20mila persone. Possiamo forse rinunciare a tutto questo?»
Anche a costo di dimezzare i salari?
«Salari dimezzati? Non scherziamo. A Pomigliano, l'accordo prevede salari lordi di 4000 euro al mese e se si lavora su tre turni e per sei giorni a settimana si potrà andare oltre la soglia dei 4000 euro. La verità è che il salario incide per il 10% sulla produzione. E' l'utilizzo degli impianti a far lievitare i costi. Solo impiegando al meglio gli impianti è possibile evitare la delocalizzazione delle imprese».
Torniamo in Abruzzo. Ricostruzione post-terremoto, qual è il sui giudizio?
«Sono molto orgoglioso della compostezza del popolo abruzzese. Ma è chiaro che chi ha tanta dignità ne pretende altrettanta dagli altri. E' necessaria massima trasparenza, come è avvenuto in Umbria, evitare appalti che come carta moschicida attirino chi vuol fare affari in modo spregiudicato o riciclare denaro. Per evitare tutto questo bisogna confrontarsi, elaborare modelli che per esempio non consentano appalti al massimo ribasso».
Partiamo dalla polemica che ha coinvolto la Cisl, e lei in prima persona, dopo la frattura con la Fiom che non ha sottoscritto l'accordo di Pomigliano: il segretario della Cgil Abruzzo, Antonio Iovito, ha un po' ironizzato sulla sua idea di sciopero al sabato. Intende replicare?
«Ha già risposto il segretario regionale Maurizio Spina. Non voglio polemizzare con la Cgil Abruzzo».
Può però spiegare la sua idea di sciopero «morbido».
«Lo vado ripetendo da quando è cominciata questa drammatica crisi economica: il sindacato può proporre e protestare anche di sabato per evitare giornate di sciopero in aziende esauste, con gli stipendi delle famiglie ridotti a livelli molto bassi. Continuare questa polemica è davvero inutile».
Crisi che sembra destinata a perdurare. La ripresa non si vede, e se c'è è molto lenta.
«L'economia è debilitata ma la discesa violenta, almeno quella, si è fermata. La ripresa è ripartita in Germania, il guaio è che la crisi ha scavato un fossato così profondo che per risalire ci vorrà molto tempo».
Cosa manca all'Italia?
«Un terzo della imprenditoria nazionale ha saputo organizzarsi bene per affrontare le nuove sfide, tutti gli altri risentono della mancanza di ristrutturazioni e investimenti. Ritardi dovuti agli alti costi di sistema e alle condizioni di contesto».
Un esempio?
«E' quel che accade anche in Abruzzo, dove per effetto dei conti sballati della sanità le imprese sono costrette a sopportare una pressione fiscale insostenibile, in particolare l'Irap che è molto più elevata rispetto a una regione come la Lombardia. Altre condizioni difficili sono date dalle disfunzioni della pubblica amministrazione, dai costi esorbitanti della bolletta energetica, dalla mancanza di attività di servizio per le aziende. Ecco, per tutte queste ragioni, l'uscita dalla crisi sarà più complicata».
Il ceto politico non le sembra all'altezza della situazione?
«Vedo una classe dirigente inerme».
Si spieghi meglio. Perché inerme?
«Perché si preferisce fare casino. Parlare della crisi è facile, magari anche con vis polemica come quando ci si ritrova al bar. Ma non si riesce mai ad affrontare con serietà le cause dei problemi. Le istituzioni locali e centrali devono intervenire. Chiaro che non possono farlo investendo i soldi che non ci sono».
Cosa dovrebbe e potrebbe fare la politica?
«Intervenire sul contesto in cui operano le aziende per migliorarlo, ridurre gli sprechi, eliminare le disfunzioni e garantire i servizi».
Mercato dell'auto. E' ragionevole aiutare industrie che chiedono sussidi pubblici e dimezzano i contratti dei lavoratori per produrre vetture che si acquistano sempre meno?
«Se si parla della Fiat e della vertenza di Pomigliano, dico subito che non è così. Questa volta, la Fiat non ha chiesto soldi perché si è impegnata a investire circa 20 miliardi nei prossimi sei anni nella cosiddetta fabbrica Italia. Aggiungo che, senza la Fiat, il centro-sud non avrebbe mai sviluppato la piccola e media impresa».
Parla del modello Sevel in Val di Sangro?
«Esatto. In Val di Sangro ci sono settemila dipendenti Sevel e un indotto che porta lavoro a circa 20mila persone. Possiamo forse rinunciare a tutto questo?»
Anche a costo di dimezzare i salari?
«Salari dimezzati? Non scherziamo. A Pomigliano, l'accordo prevede salari lordi di 4000 euro al mese e se si lavora su tre turni e per sei giorni a settimana si potrà andare oltre la soglia dei 4000 euro. La verità è che il salario incide per il 10% sulla produzione. E' l'utilizzo degli impianti a far lievitare i costi. Solo impiegando al meglio gli impianti è possibile evitare la delocalizzazione delle imprese».
Torniamo in Abruzzo. Ricostruzione post-terremoto, qual è il sui giudizio?
«Sono molto orgoglioso della compostezza del popolo abruzzese. Ma è chiaro che chi ha tanta dignità ne pretende altrettanta dagli altri. E' necessaria massima trasparenza, come è avvenuto in Umbria, evitare appalti che come carta moschicida attirino chi vuol fare affari in modo spregiudicato o riciclare denaro. Per evitare tutto questo bisogna confrontarsi, elaborare modelli che per esempio non consentano appalti al massimo ribasso».
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