Niko Romito, festa a Castel di Sangro con 7 stelle Michelin

Nella mia scuola di alta formazione i cuochi selezionati porteranno nel mondo i nostri sapori
«Chi non mi conosce pensa che voglio isolarmi. E’ che mi piace ascoltare molto e parlare poco. D’altronde mi chiamo Romito, sono un solista». Niko Romito, «lucido interprete e testimone della Nuova cucina italiana», come dicono di lui, si allunga sul grande divano beige nella sala del camino di Casadonna. E’ in divisa da lavoro, si alliscia il capo rasato e finalmente si lascia andare all’intervista. Solo dopo, però, aver illustrato nei dettagli il nuovo gioiello di famiglia: la prima scuola di alta cucina in un ristorante a due stelle. Un polo di eccellenza e di condivisione dell’alta cucina in rete, unico nel suo genere in Italia, ospitato nella nuova struttura denominata Casadonna, come l’omonima località, a Castel di Sangro.
Duemilaquattrocento metri quadrati dell’ex convento cinquecentesco (attentamente recuperato), immersi nel verde con vista su boschi e montagne abruzzesi e molisane dell’Alto Sangro. «Ci stavo un po’ stretto a Rivisondoli» ammette. Lì è cresciuto fino a dieci anni (ora ne ha 37), «ma sono nato nell’ospedale di Castel di Sangro» precisa, e lì dal 1999 ha condotto il ristorante Reale, inizio della sua fortuna. Lì a Rivisondoli, «nel paese più piccolo d’Italia col più giovane chef italiano a due stelle» come ha scritto il Corriere della Sera. «Solo un anno di distanza tra la prima e la seconda stella Michelin guadagnata. Prima di me era accaduto solo a Gualtiero Marchesi negli anni Ottanta».
Un’excalation velocissima, unica in Italia. L’anno scorso l’en plein: premio speciale Pranzo dell’anno per la Guida dell’Espresso, tre forchette assegnate dal Gambero rosso, miglior cuoco d’Italia 2011. «Negli ultimi due anni», racconta Niko «ho ricevuto offerte da capogiro. Per Bulgari mi hanno proposto la direzione della cucina nel ristorante a cinque stelle di Tokyo. Ma mi sento legato a questa terra in alta montagna e ho voluto investirci di più. Una filosofia di vita e di lavoro, per me e per mia sorella Cristiana. Ci siamo innamorati di questo mondo pur partendo da zero, io ho studiato economia e commercio, lei laureata in lingue. Così, per giustificare la scelta di aver lasciato Roma e gli studi ci siamo detti: dobbiamo fare qualcosa di importante, ristorazione di alto livello. Ed è partita la full immersion: a maggio frequentavo corsi di cucina dai grandi chef e attraversavo l’Italia per andare a mangiare nei ristoranti stellati. Ora non abbiamo tempo di andare in vacanza da qualche anno».
E aggiunge: «Ora mi piace dare una mano ai giovani europei, l’idea dell’integrazione tra i Paesi. Al termine dei dodici mesi di formazione nella scuola di Casadonna, i dieci chef selezionati a frequentare porteranno con se l’imprinting della mia cucina. Raggiungeranno una preparazione ad alti livelli made in Abruzzo. Con la nostra garanzia del posto di lavoro assicurato, a quattro stelle. Tanti colleghi si fidano di me e se mando in giro questi ragazzi vuol dire che meritano. Oggi manca la professionalità, nella ristorazione come nell’accoglienza in sala. Questa scuola dovrà avere un richiamo forte per l’Abruzzo. Il mensile Capital ha parlato del nostro progetto e siamo già presenti sui quattro blog gastronomici su web. Sono le eccellenze sul territorio a trainare il turismo. In questi giorni ho ricevuto la visita di un paio di giornalisti di Torino: se il territorio offrisse altri motivi di interesse loro si fermerebbero altri giorni. Casadonna nasce per offrire un servizio al sistema Abruzzo. Quei nove chilometri da Rivisondoli, dove il Reale si è affermato, a Castel di Sangro non cambiano nulla perchè il territorio è lo stesso. Qui nell’ex convento cinquecentesco ho trovato una storia importante alle spalle e una condizione pedoclimatica ideale a 850 metri che mi permette di sperimentare un vigneto in altura, il frutteto con le varietà dimenticate, l’orto didattico ad uso del ristorante. Nel nostro discorso coinvolgiamo produttori e ristoratori per allargare le conoscenze. Se iniziamo a interagire sarà un arricchimento reciproco».
E in questo senso si segnala la cena di beneficenza curata con gli chef italiani aderenti alla rete “Jeunes restaurateurs d’Europe” in programma il 26 settembre nella serra-giardino di Casadonna, locale adiacente alle cucine e alla sala del Reale, allestito ad hoc per l’occasione. Si tratta di nove chef, di cui ben sette con una o due stelle Michelin: Nicola Fossaceca, Ernesto Iaccarino, Gennaro Esposito, Nicola Portinari, Emanuele Scarello, Thomas Kavcic, Alfonso Caputo, Agostino Iacobucci e lo stesso Romito. Il ricavato della serata sarà devoluto all’associazione Sos Sostenitori ospedale Santobono onlus di Napoli.
Niko è come un fiume in piena: «La cucina italiana e anche quella abruzzese, sia tradizionale che innovativa, è molto apprezzata e richiesta fuori confine, in modo particolare per i prodotti di base. Io sto lavorando molto sulla materie prime locali per poterle valorizzare. Se ad esempio un orzo non cuoce facilmente ne parlo col produttore per mettere a punto insieme un prodotto qualitativamente ottimale anche per l’impiego a casa. Cerco di creare metodi di cottura e ricette nuove. Non mi piacciono le ipocrisie nè la cucina raccontata. Il cliente cerca la riconoscibilità nel piatto, cerca chiarezza, certezze. Quasi come risarcimento ai tempi così precari. Laddove anni fa in tempi più stabili si cercava una cucina più di fantasia, ma dagli esiti effimeri. Bene, in questo momento noi in Abruzzo siamo avvantaggiati dalla qualità delle produzioni e da una cultura contadina con i piedi per terra». Si sente una responsabilità addosso? «Sicuramente. Anche nei confronti di mia sorella che ho coinvolto in prima persona nelle decisioni. Questo progetto è frutto del nostro investimento personale. Siamo cresciuti molto di immagine, siamo una realtà affermata, in dieci anni la nostra vita è cambiata, siamo molto fortunati, la fortuna ci vuole sempre. Il bello di questo mondo è che ti fa conoscere persone di spiccata sensibilità, nelle arti e nella cultura. Io dico che tra due cuochi con identico talento la differenza la fa cultura. La cultura è l’attenzione al mondo che ci circonda. Questo deve riflettersi nella personalità del cuoco. Io al 98 per cento riesco a capire lo stile di quel cuoco, la forza che mette nei piatti».
E il suo stile? Come arriva a qualcosa di nuovo? «Con tanti ragionamenti. E con la conoscenza dei prodotti che si lavorano. L’oggettività di un piatto si riconosce, si sente. La cucina non si improvvisa. E’ il risultato di studio e rispetto». Quali sono i suoi ingredienti preferiti? «Legumi, formaggi di latte ovino, aromi e verdure di campo». E che genere di piatti preferisce realizzare? «Mi interessano i piatti che rompono gli schemi della classica nomenclatura. Piatti completi, che vanno oltre la solita suddivisione di antipasto-primo-secondo-contorno. Di recente ho messo a punto un gel di vitello affumicato con mandorle e tartufo. E’ un piatto completo, può essere un antipasto o un pre-dessert. Un’altra esemplificazione? Le animelle. Possono essere prese come antipasto ma anche come pietanza. Un piatto nobile e leggero. Come il baccalà». Nel suo menu Niko presenta una quindicina di piatti: «Oggi al ristorante si va per fare un’esperienza sensoriale. La cucina moderna è di 5, 6 piatti, dove i grassi sono poco accentuati. E al termine del pranzo stai bene, non ti senti appesantito. Quello che devi riportare a casa è qualcosa di emozionante che scopri, e mangi, per la prima volta. Trecento grammi di pasta te li fai a casa...». E’ goloso? «Dei salati, stranamente, essendo cresciuto nella pasticceria di famiglia. Mi piace molto il fritto, tutto ciò che è buono fritto. Quando sto da solo? Mangio patatine fritte, fatte da me».

