Cocullo, il paese dei rettili da fotoricordo

Migliaia di persone tra i serpari per la celebrazione del patrono, il rito è stato propizio
COCULLO. Benvenuti a Cocullo, terra di serpenti, di serpari e di turisti fotografi (o presunti tali). I primi due elementi convivono da sempre in questo paese della Valle Peligna. Il terzo si aggiunge una volta all'anno, il primo giovedì di maggio in occasione della festa patronale di San Domenico. E dal mix ne scaturisce una manifestazione di raro fascino in cui si mescolano sacro e profano, fede e paura, adrenalinico coraggio e debolezze ataviche racchiuse in un simbolo: il serpente.
Alle dieci di mattina piazza Madonna delle Grazie è già strapiena di gente che arriva da ogni parte d'Italia e d'Europa (gli esperti del paese dicono diecimila presenze). Ci sono zampognari, c'è il gruppo musicale Bifolk che arriva dalla provincia di Frosinone e suona pizzica e tarantelle. I turisti ballano, battono le mani. L'atmosfera è gioiosa, popolare, piacevole. Ma gli occhi di tutti sono puntati su altro. Anzi. Più che gli occhi, gli obiettivi. Una concentrazione di macchine fotografiche e telecamere come ieri mattina a Cocullo è difficilmente immaginabile. Nemmeno una nutrita comitiva di giapponesi avrebbe fatto meglio.
Tutti pronti, chi con attrezzature super professionali chi accontentandosi dei pochi pixel di un cellulare, per una foto ricordo strordinaria. Lo scatto con il serpente tra le mani (i più temerari se lo passano anche attorno al collo) resta probabilmente unico nella vita.
E i serpari sono lì, pronti a soddisfare le esigenze di tutti con il loro biacco, saettone, cervone (specie ovviamente non velenose) catturato qualche mese prima (il periodo della "caccia" inizia il 19 marzo quando il primo sole tiepido della primavera spinge fuori dalle tane le serpi ancora intorpidite dal letargo) e poi curato e coccolato fino al momento clou dell'anno. E i turisti arrivano spinti dalla curiostà e dalla voglia di misurarsi con se stessi. Il serpente ha sempre rappresentato in qualche modo il timore di un morso velenoso o, nella tradizione cristiana, addirittura il peccato, quello originale. A Cocullo invece rappresenta la celebrazione, la festa di un paese per il suo patrono. E quindi è una sorta di zona franca. Qui i serpenti non fanno paura.
«Un momento di adrenalina incredibile» dice una ragazza di Sambuceto subito sopo essersi messa in posa. E la foto con il rettile diventa una specie di rito iniziatico, una sfida con se stessi o con l'amico o con il parente. «Vai prima tu» «No, vai tu». E scatta il magic moment. Si va. Magari insieme, per dare un calcio alla paura. Gli occhi sbarrati, il corpo irrigidito e la mano un po' tremante lasciano trasparire una tensione comprensibile e condivisibile ma non c'è più tempo per i ripensamenti. E così giovani, anziani e bambini (sembrano loro i più sciolti e tranquilli) si passano i serpenti in attesa del clic.
«In realtà» ammettono sottovoce i serpari «La paura non scompare del tutto. Quando si trovano qui sembra sia tutto semplice e naturale ma poi molti di loro se incontrano un rettile il giorno dopo, scappano via. Ma era così anche per noi all'inizio. Abbiamo iniziato da bambini e certamente eravamo meno sicuri nell'affrontare i serpenti di quanto lo siamo ora. Ma per fortuna questa tradizione non si è cancellata nel tempo. Anzi, i nostri figli sono già appassionati».
E di chi è il merito di tutto questo? Probabilmente di Domenico, santo taumaturgo protettore dal mal di denti, dalla rabbia, dal morso dei rettili e dispensatore di buona salute agli animali. E' lui (o, meglio, la sua statua) che davanti alla chiesa, al termine della messa, nel rito della vestizione si lascia ricoprire di rettili per unire sacro e profano e soprattutto per dire se sarà un anno buono o tumultuoso. Cattivo presagio se i rettili strisciano davanti agli occhi della statua. Se invece, come accaduto ieri, il volto del santo resta libero si vivrà serenamente.
E mentre in piazza il popolo festeggia, i fedeli, all'interno della chiesa, celebrano San Domenico prima mordendo una catena che fa suonare una campanella (rappresenta la protezione dei denti), poi pregano e invocano e alla fine esplodono in un applauso liberatorio.
E dopo la processione nelle vie del paese, la festa si conclude con rumorosissimi fuochi d'artificio che spaventano molto più dei serpenti.
Alle dieci di mattina piazza Madonna delle Grazie è già strapiena di gente che arriva da ogni parte d'Italia e d'Europa (gli esperti del paese dicono diecimila presenze). Ci sono zampognari, c'è il gruppo musicale Bifolk che arriva dalla provincia di Frosinone e suona pizzica e tarantelle. I turisti ballano, battono le mani. L'atmosfera è gioiosa, popolare, piacevole. Ma gli occhi di tutti sono puntati su altro. Anzi. Più che gli occhi, gli obiettivi. Una concentrazione di macchine fotografiche e telecamere come ieri mattina a Cocullo è difficilmente immaginabile. Nemmeno una nutrita comitiva di giapponesi avrebbe fatto meglio.
Tutti pronti, chi con attrezzature super professionali chi accontentandosi dei pochi pixel di un cellulare, per una foto ricordo strordinaria. Lo scatto con il serpente tra le mani (i più temerari se lo passano anche attorno al collo) resta probabilmente unico nella vita.
E i serpari sono lì, pronti a soddisfare le esigenze di tutti con il loro biacco, saettone, cervone (specie ovviamente non velenose) catturato qualche mese prima (il periodo della "caccia" inizia il 19 marzo quando il primo sole tiepido della primavera spinge fuori dalle tane le serpi ancora intorpidite dal letargo) e poi curato e coccolato fino al momento clou dell'anno. E i turisti arrivano spinti dalla curiostà e dalla voglia di misurarsi con se stessi. Il serpente ha sempre rappresentato in qualche modo il timore di un morso velenoso o, nella tradizione cristiana, addirittura il peccato, quello originale. A Cocullo invece rappresenta la celebrazione, la festa di un paese per il suo patrono. E quindi è una sorta di zona franca. Qui i serpenti non fanno paura.
«Un momento di adrenalina incredibile» dice una ragazza di Sambuceto subito sopo essersi messa in posa. E la foto con il rettile diventa una specie di rito iniziatico, una sfida con se stessi o con l'amico o con il parente. «Vai prima tu» «No, vai tu». E scatta il magic moment. Si va. Magari insieme, per dare un calcio alla paura. Gli occhi sbarrati, il corpo irrigidito e la mano un po' tremante lasciano trasparire una tensione comprensibile e condivisibile ma non c'è più tempo per i ripensamenti. E così giovani, anziani e bambini (sembrano loro i più sciolti e tranquilli) si passano i serpenti in attesa del clic.
«In realtà» ammettono sottovoce i serpari «La paura non scompare del tutto. Quando si trovano qui sembra sia tutto semplice e naturale ma poi molti di loro se incontrano un rettile il giorno dopo, scappano via. Ma era così anche per noi all'inizio. Abbiamo iniziato da bambini e certamente eravamo meno sicuri nell'affrontare i serpenti di quanto lo siamo ora. Ma per fortuna questa tradizione non si è cancellata nel tempo. Anzi, i nostri figli sono già appassionati».
E di chi è il merito di tutto questo? Probabilmente di Domenico, santo taumaturgo protettore dal mal di denti, dalla rabbia, dal morso dei rettili e dispensatore di buona salute agli animali. E' lui (o, meglio, la sua statua) che davanti alla chiesa, al termine della messa, nel rito della vestizione si lascia ricoprire di rettili per unire sacro e profano e soprattutto per dire se sarà un anno buono o tumultuoso. Cattivo presagio se i rettili strisciano davanti agli occhi della statua. Se invece, come accaduto ieri, il volto del santo resta libero si vivrà serenamente.
E mentre in piazza il popolo festeggia, i fedeli, all'interno della chiesa, celebrano San Domenico prima mordendo una catena che fa suonare una campanella (rappresenta la protezione dei denti), poi pregano e invocano e alla fine esplodono in un applauso liberatorio.
E dopo la processione nelle vie del paese, la festa si conclude con rumorosissimi fuochi d'artificio che spaventano molto più dei serpenti.
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