L'INCHIESTA

Arresti a Celano, l'ex senatore Piccone resta in carcere

Il gip respinge la richiesta dei domiciliari: «La detenzione è compatibile con la malattia»

Dovrà restare in carcere l'ex parlamentare e vicesindaco dimissionario di Celano, Filippo Piccone. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Avezzano, Maria Proia, ha respinto l’istanza presentata dal suo legale dopo l'arresto di lunedì 22 febbraio nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti in Comune.
Anche il pubblico ministero, Lara Seccacini, titolare dell’inchiesta Acqua fresca, aveva dato parere negativo alla revoca o sostituzione della misura di arresto in carcere.
Non sono bastate le dimissioni da consigliere comunale, presentate ufficialmente da Piccone, come confermato dal suo legale Antonio Milo. A far maturare la decisione del gip «il breve lasso di tempo intercorso dall’applicazione della misura cautelare e la gravità dei reati contestati».
La richiesta della difesa era incentrata prevalentemente sulle condizioni di salute dell’ex senatore che è in cura per altri motivi al Policlinico Gemelli. Il difensore Milo ha presentato e depositato una copiosa documentazione medica. Secondo il gip del tribunale, però, «non si evince alcuna incompatibilità tra le patologie e il regime carcerario e, al
contrario, come affermato dal pubblico ministero, è stata avviata un’interlocuzione con la Casa circondariale di Vasto dalla quale è emerso che, allo stato, la struttura carceraria è in grado di garantire a Piccone l’assistenza adeguata, nonché il monitoraggio della terapia farmacologica». Le condizioni dell’indagato sono state già valutate dal personale medico in servizio nel carcere quando otto giorni fa è entrato nella struttura di Torre Sinello.

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Sono diversi i capi d’accusa a carico dell’indagato. Tra questi deve rispondere di corruzione e istigazione alla corruzione poiché, nei panni di consigliere comunale, con abuso della sua qualità di pubblico ufficiale e dei correlati poteri, prospettando a una donna la possibilità di conseguire un vantaggio indebito (ovvero l’aumento, non dovuto, da 15 a 30 delle ore settimanali di lavoro che lei prestava al Comune di Celano come dipendente di una cooperativa) la induceva a prestazioni sessuali in suo favore. (p.g.)