Il Parco: Juan Carrito morto libero Ci siamo opposti alla vita in gabbia
Parla il direttore Sammarone: «Fatto il possibile per tutelarlo, tutti gli esperti volevano catturarlo» La difesa degli investitori: «Bravi ragazzi, serve rallentare con le macchine ma anche con le parole»
PESCASSEROLI. «Abbiamo fatto tutto il possibile per tutelare Juan Carrito e per lasciarlo libero. Sarebbe stata vita da orso lasciarlo in un recinto?». Così, in nome di quella libertà, hanno agito i vertici del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, alle prese con l’orso confidente, investito e ucciso lunedì a Castel di Sangro. Il direttore del Parco, Luciano Sammarone, ripercorre quanto accaduto.
Direttore, è stato fatto tutto il possibile per proteggere Juan Carrito?
«Sì, abbiamo fatto di tutto per garantire a Carrito la libertà e, fino alla sua morte, ci siamo riusciti. Quasi contro tutti e tutto: ad agosto 2021 i biologi del Parco, in una call con esperti internazionali, hanno fornito le coordinate comportamentali dell’orso. All’unanimità era stata data l’indicazione di tenerlo in gabbia, in quanto potenzialmente pericoloso. Ma noi abbiamo deciso di dargli un’altra opportunità. Si trattava di un orso estremamente giovane, nato a gennaio 2020: le abbiamo provate tutte per garantirgli la libertà».
Con quali azioni?
«A dicembre 2021 Carrito è tornato a Roccaraso, 15 giorni dopo averlo riportato sulle montagne della Marsica. A febbraio 2022, uscito dal letargo, ha ripreso le sue scorribande: il centro era pieno di turisti e abbiamo optato per una fase di rieducazione. Riportato in montagna sulla Maiella, Carrito ha fatto semplicemente l’orso: non scendeva più in paese a rubare cibo, trascorreva la gran parte del tempo in montagna. Insomma, non passava più la sua vita a frugare tra i rifiuti, come in passato. Sembrava aver recuperato un po’ di normalità. Il 3 gennaio scorso, dopo un periodo in cui l’orso non si era fatto vedere, abbiamo ipotizzato fosse andato in letargo, ma non era così. Venerdì scorso ha fatto incursione in un’azienda agricola di Castel di Sangro. Il giorno dopo è avvenuto l’incidente. La libertà ha un prezzo: se lo avessimo messo per sempre in un recinto non sarebbe successo. Ma è vita da orsi quella in un recinto?».
Perché da mesi Juan Carrito non era più radiocollarato?
«Aveva il colo troppo grande. Pesava 160 chili e non c’era un radiocollare adatto. Abbiamo provveduto a dotarlo di marche auricolari, che sono funzionali a un riconoscimento a distanza».
Quali strumenti specifici si possono adottare sulle strade a protezione degli orsi?
«Proprio nel tratto dell’incidente avevamo fatto degli interventi e posizionato una recinzione a ridosso del punto dove, a Natale 2019, venne investita un’orsa: circa un chilometro di recinzione a destra e sinistra della carreggiata, riaprendo anche un sottopasso a circa 300 metri da dove è stato investito Carrito. Solitamente gli animali seguono la stessa strada, ma quando Carrito è arrivato in zona e ha trovato la recinzione ha fatto un salto di un metro e mezzo finendo in mezzo alla strada. Non ha utilizzato il sottopasso che era a pochi metri. Gli attraversamenti e le recinzioni sono utili, ma devono coprire tutta la lunghezza della strada, altrimenti si creano dei buchi che diventano attraversamenti naturali».
Alcuni comuni si sono dotati di appositi cassonetti. È sufficiente a tenere lontani gli orsi?
«Carrito è diventato così perché aveva cibo facile da mangiare. Gli orsi non entrano nei paesi perché hanno fame, ma perché trovano cibo a buon mercato. È stato nutrito e questo è un errore enorme. Era confidente e condizionato dal cibo facile. È importantissimo che i centri abitati si dotino di cassonetti per i rifiuti inaccessibili agli orsi e agli altri animali selvatici. Un esperimento simile è stato fatto a Villalago».
Quando ha saputo dell’investimento come ha reagito? «Tornavo da un incontro di lavoro. Tra Bisegna e Pescasseroli il telefono non prende, ma arrivato in paese ho trovato centinaia di messaggi. Poi, ho ricevuto una telefonata: avevano investito un orso a Castel di Sangro. Quando mi è arrivata la prima foto ho capito subito che era Carrito, dalla marca auricolare rossa. Ci siamo subito attivati, ma non c’è stato nulla da fare: aveva un’emorragia iperacuta interna. Per me è stata una grande sofferenza, soprattutto vedere le immagini dell’agonia di Juan Carrito in rete. In quei momenti concitati non si è pensato a fare schermo all’orso a terra, anche perché non se ne conoscevano le condizioni precise».
E i due ragazzi che hanno travolto Carrito?
«Sono davvero bravi ragazzi, lui ha avuto anche problemi di salute in passato. Una vita non facile. Credo che chiunque, nelle stesse condizioni, non avrebbe potuto fare nulla. Basta con questo massacro mediatico, ci vuole rispetto. Dobbiamo rallentare con le macchine, ma soprattutto con le parole. Per non parlare della gente che rincorre gli orsi che scendono in paese, telefono alla mano, per scattare una foto o fare un video. Per gli animali è uno stress enorme».
Ha avuto modo di sentire il ministro dell’Ambiente dopo questa vicenda?
«No, solo i dirigenti del ministero. Ma abbiamo avuto il calore di tante gente. E questo ci ha fatto bene».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Direttore, è stato fatto tutto il possibile per proteggere Juan Carrito?
«Sì, abbiamo fatto di tutto per garantire a Carrito la libertà e, fino alla sua morte, ci siamo riusciti. Quasi contro tutti e tutto: ad agosto 2021 i biologi del Parco, in una call con esperti internazionali, hanno fornito le coordinate comportamentali dell’orso. All’unanimità era stata data l’indicazione di tenerlo in gabbia, in quanto potenzialmente pericoloso. Ma noi abbiamo deciso di dargli un’altra opportunità. Si trattava di un orso estremamente giovane, nato a gennaio 2020: le abbiamo provate tutte per garantirgli la libertà».
Con quali azioni?
«A dicembre 2021 Carrito è tornato a Roccaraso, 15 giorni dopo averlo riportato sulle montagne della Marsica. A febbraio 2022, uscito dal letargo, ha ripreso le sue scorribande: il centro era pieno di turisti e abbiamo optato per una fase di rieducazione. Riportato in montagna sulla Maiella, Carrito ha fatto semplicemente l’orso: non scendeva più in paese a rubare cibo, trascorreva la gran parte del tempo in montagna. Insomma, non passava più la sua vita a frugare tra i rifiuti, come in passato. Sembrava aver recuperato un po’ di normalità. Il 3 gennaio scorso, dopo un periodo in cui l’orso non si era fatto vedere, abbiamo ipotizzato fosse andato in letargo, ma non era così. Venerdì scorso ha fatto incursione in un’azienda agricola di Castel di Sangro. Il giorno dopo è avvenuto l’incidente. La libertà ha un prezzo: se lo avessimo messo per sempre in un recinto non sarebbe successo. Ma è vita da orsi quella in un recinto?».
Perché da mesi Juan Carrito non era più radiocollarato?
«Aveva il colo troppo grande. Pesava 160 chili e non c’era un radiocollare adatto. Abbiamo provveduto a dotarlo di marche auricolari, che sono funzionali a un riconoscimento a distanza».
Quali strumenti specifici si possono adottare sulle strade a protezione degli orsi?
«Proprio nel tratto dell’incidente avevamo fatto degli interventi e posizionato una recinzione a ridosso del punto dove, a Natale 2019, venne investita un’orsa: circa un chilometro di recinzione a destra e sinistra della carreggiata, riaprendo anche un sottopasso a circa 300 metri da dove è stato investito Carrito. Solitamente gli animali seguono la stessa strada, ma quando Carrito è arrivato in zona e ha trovato la recinzione ha fatto un salto di un metro e mezzo finendo in mezzo alla strada. Non ha utilizzato il sottopasso che era a pochi metri. Gli attraversamenti e le recinzioni sono utili, ma devono coprire tutta la lunghezza della strada, altrimenti si creano dei buchi che diventano attraversamenti naturali».
Alcuni comuni si sono dotati di appositi cassonetti. È sufficiente a tenere lontani gli orsi?
«Carrito è diventato così perché aveva cibo facile da mangiare. Gli orsi non entrano nei paesi perché hanno fame, ma perché trovano cibo a buon mercato. È stato nutrito e questo è un errore enorme. Era confidente e condizionato dal cibo facile. È importantissimo che i centri abitati si dotino di cassonetti per i rifiuti inaccessibili agli orsi e agli altri animali selvatici. Un esperimento simile è stato fatto a Villalago».
Quando ha saputo dell’investimento come ha reagito? «Tornavo da un incontro di lavoro. Tra Bisegna e Pescasseroli il telefono non prende, ma arrivato in paese ho trovato centinaia di messaggi. Poi, ho ricevuto una telefonata: avevano investito un orso a Castel di Sangro. Quando mi è arrivata la prima foto ho capito subito che era Carrito, dalla marca auricolare rossa. Ci siamo subito attivati, ma non c’è stato nulla da fare: aveva un’emorragia iperacuta interna. Per me è stata una grande sofferenza, soprattutto vedere le immagini dell’agonia di Juan Carrito in rete. In quei momenti concitati non si è pensato a fare schermo all’orso a terra, anche perché non se ne conoscevano le condizioni precise».
E i due ragazzi che hanno travolto Carrito?
«Sono davvero bravi ragazzi, lui ha avuto anche problemi di salute in passato. Una vita non facile. Credo che chiunque, nelle stesse condizioni, non avrebbe potuto fare nulla. Basta con questo massacro mediatico, ci vuole rispetto. Dobbiamo rallentare con le macchine, ma soprattutto con le parole. Per non parlare della gente che rincorre gli orsi che scendono in paese, telefono alla mano, per scattare una foto o fare un video. Per gli animali è uno stress enorme».
Ha avuto modo di sentire il ministro dell’Ambiente dopo questa vicenda?
«No, solo i dirigenti del ministero. Ma abbiamo avuto il calore di tante gente. E questo ci ha fatto bene».
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