Violentata in un vicolo del centro Due condannati a 3 anni e 4 mesi 

I giudici ritengono credibile il racconto della vittima, una donna di 45 anni: dovrà essere risarcita Gli abusi vicino a piazza Matteotti: «Cercavo di spingerli via, ma mi tenevano a forza contro il muro»

CHIETI. È stata violentata e poi lasciata in un vicolo del centro storico di Chieti, a due passi da piazza Matteotti. Lei, una teatina di 45 anni, lo ha ripetuto davanti alla polizia già un paio di giorni dopo gli abusi sessuali che era stata costretta a subire nella notte tra il 18 e il 19 marzo del 2018. E ieri lo ha stabilito anche il tribunale di Chieti, che ha condannato a tre anni e quattro mesi di reclusione ciascuno il teatino Massimo Serano, 48 anni, e Tommaso Raiano, 46 anni, originario di Napoli e anche lui residente in città.
La sentenza (presidente Guido Campli, giudici a latere Maurizio Sacco e Giulia Colangeli) è arrivata con il rito abbreviato condizionato all’audizione della parte offesa: gli imputati hanno potuto beneficiare dello sconto di un terzo della pena. L’accusa, rappresentata in aula dal sostituto procuratore Giuseppe Falasca, aveva chiesto quattro anni per entrambi. Serano e Raiano sono stati condannati anche al risarcimento della vittima (da quantificare in separata sede) e a pagare 5mila euro di provvisionale. L’audizione della 45enne, assistita dall’avvocato Roberto Di Loreto, non ha riguardato l’episodio della violenza, ma i rapporti di conoscenza esistenti con gli imputati.
I giudici hanno ritenuto credibile il racconto che la donna, due giorni dopo gli abusi, aveva fatto davanti ai poliziotti della squadra mobile di Chieti.
«Domenica scorsa», aveva riferito agli investigatori della seconda sezione, «sono andata a mangiare gli arrosticini in un locale di via Arniense insieme a un mio amico, Massimo Serano, che mi aveva telefonato nel tardo pomeriggio per invitarmi. Quando sono arrivata al tavolo, però, ho trovato oltre a lui anche un suo amico, nonché mio conoscente, di nome Tommaso Raiano. Usciti dal locale, abbiamo fatto due passi e ci siamo diretti verso la zona della Pietragrossa, per poi entrare in un bar, dove abbiamo bevuto della birra. Poi di nuovo, sempre a piedi, siamo tornati in piazza Matteotti e ci siamo intrattenuti al chiosco: lì abbiamo consumato un altro paio di birre. Si era fatto tardi: intorno alle 2 Massimo e l’amico si sono offerti di riaccompagnarmi a casa».
Dopo pochi minuti, si è consumata la violenza. «A un certo punto», proseguiva la denuncia della donna, «abbiamo imboccato una delle traversine che da via Arniense sale in via dei Sette Dolori. All’improvviso, dopo avermi preso alle spalle, Massimo si è avvicinato al mio viso come se volesse baciarmi. Io sono rimasta incredula, gli ho detto: “Cosa c… stai facendo?”. Ma lui mi ha spinta contro il muro di un’abitazione e ha cominciato a toccarmi. Poi si è avvicinato anche Tommaso».
Ed entrambi, stando alla testimonianza, si sono resi protagonisti degli abusi sessuali. «Tutto è successo in modo molto violento. Avevo dolore, cercavo di spingerli via, ma mi stavano addosso e mi tenevano con forza a ridosso del muro. Ho cominciato a piangere. “Perché mi stai facendo questo? Cosa ti ho fatto? Siamo amici”, ho detto a Massimo. Dopo un lasso di tempo che non riesco a quantificare, si sono fermati. Nel far passare quell’azione come qualcosa di normale, Massimo si è rivolto a me così: “Non è successo niente, siamo tra amici, fumati una sigaretta con me e andiamo a casa”. Alla fine si sono allontanati e mi hanno lasciata nel vicoletto».
Sono stati attimi terribili: «Mentre i due mi usavano violenza, ricordo che i loro giubbotti quasi mi soffocavano. Non riuscivo a urlare, comunque non mi usciva la voce». La sera stessa la vittima si è confidata con due persone. «La prima che ho pensato a chiamare è stata una donna che, in un mio momento di difficoltà, era stata la mia counselor. A casa, invece, ho trovato il mio compagno che, in un primo momento, mi ha rimproverata per l’ora tarda. Poi, però, sono scoppiata a piangere e gli ho raccontato quello che mi era capitato. Il giorno successivo Massimo mi ha chiamato più volte sul cellulare, ma io non gli ho risposto».
Gli imputati, difesi dagli avvocati Marco Femminella e Roberto Ferrone, negano le accuse. È scontato il ricorso in appello.
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