Keith Jarrett e l’ictus: non sono più un pianista 

Dopo tre anni di silenzio il musicista svela al New York Times le ragioni della lunga assenza dalla scena del jazz

NEW YORK. Keith Jarrett suona ancora nei sogni, ma nella vita confronta un futuro senza piano. «Non so cosa mi porterà il futuro. Quello che posso dire ora è che non sono un pianista», ha confessato in un’intervista al «New York Times» il leggendario artista del “Concerto di Colonia” che nel 2018 ha subito due ictus, uno di seguito all’altro, col risultato che la sua apparizione a Carnegie Hall nel 2017 è stata probabilmente l'ultima in una lunga carriera.
Jarrett è uno dei pianisti jazz-new age più celebrati al mondo. Quella sera a New York, poche settimane dopo l'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, aveva aperto il concerto con un monologo indignato sullo stato della politica.
Il pianista avrebbe dovuto apparire di nuovo alla Carnegie in marzo, ma il concerto era stato cancellato per ragioni di salute allora non specificate. Solo ieri Jarrett ha rotto il silenzio, mentre la sua etichetta discografica, la celeberrima ECM, sta per far uscire la registrazione del “Concerto di Budapest” del 2016.
Un ictus alla fine di febbraio 2018, seguito da un altro a maggio. «Sono rimasto paralizzato. Il mio lato sinistro è ancora parzialmente paralizzato. Posso camminare con il bastone, ma c'è voluto oltre un anno»,ha raccontato il musicista al quotidiano.
Ci sono voluti lunghi mesi di riabilitazione in una clinica. Dopo il rientro a casa lo scorso maggio, in piena pandemia e nei giorni del suo 75esimo compleanno, Jarrett si è riaccostato al pianoforte suonando contrappunti con la mano destra: «Fingevo di essere Bach con una mano sola», ha commentato.
Più di recente, cercando di suonare motivi bebop familiari, Jarrett ha scoperto di averli dimenticati.
Ora che non può più farlo come prima, il musicista suona nei sogni, «ma non è come la vera vita».
Per Jarrett, che vent'anni fa tornò a vivere e suonare dopo aver superato la sindrome da fatica cronica, è doloroso e «frustrante, in modo fisico», ascoltare musica per piano a due mani: «Anche Schubert è troppo. Perché so che non lo potrei fare. Non potrò guarire. Il massimo che potrò fare con la mano destra è reggere una tazza. Così», scherza malinconicamente «non è “non sparate sul pianista”. Io sono già stato sparato».
Il New York Times nota il paradosso di un Keith Jarrett che non si considera più un pianista.
Leggenda di famiglia vuole che il musicista di Allentown, in Pennsylvania, cominciò a improvvisare sulla tastiera ad appena tre anni.
Un cammino diventato pubblico negli anni Sessanta prima con Art Blakey e i suoi Jazz Messengers, poi con il gruppo di Charles Lloyd in cui suonava anche Jack DeJohnette, poi con Miles Davis.
Nel 1975 il suo «Concerto di Colonia» da solista divenne l'album jazz più venduto della storia: un trionfo contro le avversità, tra stanchezza, dolore fisico e la frustrazione per dover suonare su un pianoforte inferiore al prediletto Steinway.
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