Maraini: «Oggi c’è il terrore della perdita dell’identità»

16 Ottobre 2024

E intanto scrive “Otello senza Shakespeare” per il Teatro Stabile d’Abruzzo

ROMA. «Oggi viviamo nel regime della globalizzazione, che ha i suoi pregi e i suoi difetti. Possiamo mangiare le pere del Venezuela, ma le persone hanno paura di perdere la propria identità, spirituale, religiosa, culturale. Questo vale, ad esempio, con l'immigrazione, ma anche per i femminicidi». Con il braccio al collo, per quella frattura al polso che le ha impedito di volare al Salone del libro di Francoforte dove l’Italia è ospite d'onore, Dacia Maraini ha ricevuto ieri il Pegaso d'oro, il più alto riconoscimento della Regione Toscana. La Toscana delle sue origini, si può dire, anche se oggi ama passare il suo tempo in Abruzzo: le sue radici affondano a Fiesole («ma sono nata a Firenze», precisa) dove i suoi genitori – l'antropologo Fosco Maraini e la nobildonna siciliana Topazia Alliata – «erano andati a vivere, in un'unica stanza, perché erano così giovani che non avevano ancora né un lavoro, nè una lira».
Il Pegaso quest'anno va «a una grande scrittrice, voce dell'impegno letterario e sociale, riferimento per le nuove generazioni», spiega il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, insieme alla capo di Gabinetto Cristina Manetti, ricordando l'opera, ma anche i giorni bui vissuti da Dacia Maraini in un campo di concentramento giapponese.
«In Giappone», ripercorre lei, «eravamo andati perché mio padre, non volendo prendere la tessera fascista, in Italia non poteva lavorare. Ma vinse una borsa di studio e ci trasferimmo tutti. Lui insegnava all'Università di Kyoto. Io con le mie sorelle ero perfettamente integrata, parlavo anche un dialetto locale», sorride. Nel 1943, dopo l'8 settembre, tutto cambiò e l'intera famiglia finì nel campo come «traditori della patria». E se non morirono di fame e di stenti è solo grazie al coraggio di quel padre, «da cui sono orgogliosa di aver preso lo spirito critico», che arrivò a tagliarsi un dito per protesta, secondo un antico rito samurai.
Scrittrice, poetessa, autrice teatrale, senatrice a vita dal 2012, Maraini nella sua carriera ha vinto il Campiello per La lunga vita di Marianna Ucria e lo Strega per la raccolta di racconti Buio. «Ma un premio è sempre un atto di stima e le donne ne hanno bisogno», dice. «Non di ammirazione, quella l’hanno sempre avuta, per la bellezza, la bontà, l’intelligenza. Nella società patriarcale, noi abbiamo bisogno di essere ritenute capaci di costruire, di creare, di fare politica: tutte cose che ci hanno sempre proibito. Oggi, poi, viviamo in un mondo globalizzato. Non possiamo più evitare di vedere quello che accade alle donne in Iran o Pakistan. Non si può più dire: che ci importa a noi». Ma non solo. Proprio il «regime» globalizzato in cui viviamo «porta con sé il terrore della perdita di identità. «È una paura viscerale che spinge fino ad atti folli», riflette la scrittrice. «Vale per tutto: un uomo che vive la propria virilità come possesso, dove i figli sono “suoi”, la moglie è “sua”, davanti a una voglia di autonomia della donna entra in crisi. Così come vale per tutto il mondo, anche per gli Stati Uniti. Altrimenti perché un uomo che ha compiuto cose così gravi come Trump raccoglie tanti voti? Perché c'è la paura di perdere la propria identità con l'immigrazione dal Messico». Un tema, dice poi, «che sta venendo fuori. Negarlo è la cosa più sbagliata. Credo che ne scriverò». Per ora, aggiunge, «sto scrivendo un testo per il teatro: Otello senza Shakespeare, che arriverà allo Stabile d'Abruzzo all'Aquila il prossimo anno». Ed è in palcoscenico che prosegue anche l'omaggio della “sua” Toscana, tra La pergola di Firenze, dove fino al 20 ottobre è in scena Amori rubati, raccolta di monologhi tratti dal suo L’amore rubato, mentre per la terza edizione di La Toscana delle donne, il 20 novembre, sarà la volta di Dialogo di una prostituta con un suo cliente., con Simona Cavallari e Federico Benvenuto.