la strage di farindola

Hotel Rigopiano, prima tranche dell'inchiesta con sei indagati

Provincia di Pescara e Comune di Farindola sott’accusa per la strada sepolta dalla neve: omicidio plurimo e lesioni

PESCARA. Sei indagati per i 29 morti dell’hotel Rigopiano, ma è soltanto l’inizio perché una seconda tranche dell’inchiesta a firma del procuratore aggiunto Cristina Tedeschini e del sostituto Andrea Papalia sta camminando veloce verso nuove iscrizioni.

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Per ora le conclusioni a cui sono arrivati gli inquirenti dopo tre mesi e mezzo di interrogatori, acquisizioni di atti e sequestri di documenti condotti dal Nucleo investigativo dei carabinieri e dai carabinieri Forestali, riguardano due circostanze ben precise ritenute alla base della tragedia: la strada rimasta bloccata dalla neve e la turbina (di stanza proprio a Farindola), fuori servizio dal 6 gennaio che non è stata né riparata né sostituita, nonostante le precedenti allerta meteo. Circostanze per cui, ognuno per le proprie responsabilità e funzioni, per ora sono ritenuti responsabili il presidente della Provincia Antonio Di Marco con Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio rispettivamente dirigente e responsabile del servizio Viabilità dell’ente e tutti referenti di protezione civile della Provincia; il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta (autorità di protezione civile) ed Enrico Colangeli, responsabile dell’ufficio tecnico del Comune e componente della commissione valanghe e l’amministratore della società e gestore del resort Bruno Di Tommaso.

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LE ACCUSE DI OMICIDIO. Omicidio colposo plurimo, lesioni personali colpose e rimozione od omissione dolosa per quanto riguarda paravalanghe e cartelli. «Per negligenza, imprudenza e imperizia», la Procura li accusa di «non aver impedito e cagionato il decesso di 29 persone». E per una serie di omissioni che, «in relazione a funzioni, compiti e responsabilità» di ognuno vengono distribuite tra Provincia, Comune e direzione dell’albergo. In particolare è sulle omissioni relative all’attività di Protezione civile che si sofferma l’accusa, coinvolgendo in primis la Provincia, e in seconda battuta il Comune.

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LE COLPE DELLA PROVINCIA. Strada bloccata e turbina fuori uso. Sono queste le colpe della Provincia che a fronte delle ingenti nevicate annunciate da giorni dal meteo, non avrebbe fatto in modo di riparare, o sostituire, la turbina in dotazione al territorio di Farindola ma fuori uso dal 6 gennaio. Un guasto relativo alla rottura di un braccio meccanico e valutato tra i 15 e i 20mila euro. Cifra quantificata da un meccanico con giorni di anticipo sulla slavina. Dunque, che la turbina era fuori uso, e che non era disponibile, si sapeva. Di qui l’accusa: «Omessa attuazione di iniziative, azioni e interventi prescritti da normative di protezione civile e da piani di intervento da attuare in presenza di eventi meteorologici avversi», tipo intense nevicate, «atti a prevenire e fronteggiare» quei rischi. «Specie con riferimento al mantenimento di adeguate condizioni di viabilità per le strade di accesso e corrispondenti vie di fuga di strutture ricettive alberghiere come l’hotel Rigopiano». L’emergenza, sostiene la Procura, andava affrontata prima. Il 18 gennaio, dopo il terremoto della mattina, quando sono iniziate le forsennate richieste di poter andare via da parte dei 40 prigionieri del resort tra ospiti e dipendenti, era già troppo tardi. Per liberare quel muro di neve accumulato dal giorno prima, ci volevano comunque dieci ore. Quelle impiegate dalla carovana dei soccorsi quando è scattato l’allarme, alle 19, due ore dopo la valanga.

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RESPONSABILITA' DEL COMUNE. Il Comune, rappresentato dal sindaco e dal responsabile dell’ufficio tecnico, non ha riunito la commissione valanghe per anni; non ha inserito nel proprio piano di emergenza comunale il rischio valanghe e, non avendo provveduto a fare studi di iniziativa come previsto dalla Regione in attesa della carta di pericolosità, non ha neanche attuato quanto disposto dalla delibera della giunta regionale di due anni fa in cui, ai Comuni a rischio valanghivo, venivano indicate le procedure da mettere in atto a seconda della gravità prevista dai bollettini Meteomont. Da controllare autonomamente on line. Bollettino che nel caso del 18 gennaio per Rigopiano segnava grado di pericolosità 4, ma che il Comune di Farindola, in pieno blackout Enel, non ha mai visto. Né è stato mai avvertito dagli enti superiori. Ma per il rischio 4, le procedure indicate dalla delibera di giunta, prevedevano l’evacuazione dell’edificio. Il sindaco, in sostanza, doveva far sgomberare l’albergo.

PERCHE' ANCHE IL GESTORE. «Omesso collocamento di impianti, apparecchi o segnali idonei a prevenire disastri o infortuni sul lavoro». In pratica al legale responsabile della società Gran Sasso resort e gestore dell’hotel, oltre al concorso nell’omicidio colposo, viene contestato il mancato collocamento di cartellonistica relativa al rischio valanghe e paravalanghe nel tratto dell’albergo. Impianti che, non avendo messo il Comune, che non aveva redatto un piano valanghe, avrebbe dovuto mettere l’albergatore dovendo tutelare la sicurezza dei suoi lavoratori. Undici, quelli morti sotto le macerie.

TEDESCHINI: NOI PARLIAMO SOLO CON GLI ATTI GIUDIZIARI. «La società civile discute, confronta le sue idee, ha i suoi dolori e i suoi problemi, ci sono bambini orfani e ci dispiace, perché questo è un disastro, ma noi facciamo il nostro lavoro, stiamo zitti e dobbiamo parlare solo con gli atti giudiziari». Lo ha detto il procuratore della Repubblica di Pescara, Cristina Tedeschini, titolare delle indagini sul disastro dell'Hotel Rigopiano, riferendosi alle lamentele di alcuni parenti delle vittime, che nel corso di interviste hanno spiegato che si sarebbero aspettati di vedere nel registro degli indagati, oltre a rappresentanti e dipendenti della Provincia di Pescara e del Comune di Farindola (Pescara), anche esponenti della Regione Abruzzo e della Prefettura di Pescara.

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