Allevatori in ginocchio: «Volano i prezzi dei foraggi e dei concimi» 

La vendita del latte non riesce a coprire le spese. Confagricoltura: «Calmierare i prezzi, aiuti subito» E la situazione è aggravata dalla carenza d’acqua per chi porta gli animali al pascolo sul Sirente-Velino 

AVEZZANO. «Il costo del foraggio, rispetto allo scorso anno, raddoppiato, concimi quasi introvabili, prezzo di vendita del latte che non copre i costi di produzione. Se si andrà avanti così, al comparto zootecnico del territorio verrà inferto un colpo mortale».
Così esordisce Erminio Pensa, presidente giovani agricoltori di Confagricoltura L’Aquila. Pensa, 35 anni, di Tagliacozzo, è anche presidente della cooperativa zootecnica “La Villa”.
Un’azienda, la sua, che alleva circa 400 capi bovini: metà di razza frisona, per la produzione del latte, e metà di razza marchigiana, per la produzione di carne.
«Per la coltivazione del foraggio», spiega Pensa, «abbiamo a disposizione 300 ettari di terreno dei Piani Palentini: 100 destinati a fieno, 100 a grano e orzo e gli altri a mais e sorgo. Con tali coltivazioni prima riuscivamo a coprire quasi il 90% del foraggio. Il resto lo acquistavamo. Quest’anno, a causa della siccità, abbiamo avuto un crollo della produzione di circa il 50%. Così per procurarci il foraggio che ci serve dobbiamo importarlo, pagandolo il doppio di quanto lo pagavamo lo scorso anno. Il prezzo del fieno da 6-7 euro al quintale è salito a 14 euro; quello dei cereali da 20 euro è schizzato a 50 euro: un’impennata su cui ha influito il conflitto in corso tra la Russia e l’Ucraina. Più contenuto, anche se l’aumento c’è stato, è il prezzo del mais che importiamo dal Sudamerica: da 20 euro al quintale è passato a 37-38. Il concime poi non si trova neppure. Per quanto riguarda il latte», prosegue Pensa, «c’è stato un adeguamento del prezzo: siamo passati da 38 centesimi al litro di prima del Covid a 46 centesimi. È un prezzo però che non copre i costi di produzione. Mi chiedo quanti allevatori, in questa situazione, riusciranno ad arrivare a fine anno. Tanti non avranno alternative: o vendono gli animali o si indebitano fino all’osso».
Da qui l’appello alle istituzioni. «Bisogna che il governo intervenga subito, calmierando i prezzi e aiutando direttamente le aziende zootecniche. La Regione a sua volta deve essere più rapida. Con l’assessore all’agricoltura abbiamo concordato dei progetti per apportare delle migliorie alle aziende zootecniche. Il bando è di tre anni fa. I prezzi nel frattempo sono saliti alle stelle. Così le migliorie che le aziende zootecniche si aspettavano, ora possono solo sognarle».
Per i circa 500 allevatori della Marsica orientale che d’estate portano gli animali all’alpeggio sul Sirente-Velino, si aggiungono altri problemi.
«Sull’area adibita a pascolo, che si aggira sui 2.000 ettari», lamenta Carmine Contestabile, proprietario di un’azienda agro-zootecnica di Celano, «vi sono complessivamente quattro fontanili: due nel territorio di Aielli e i restanti in quello di Celano. Quest’ultimi sono stati lasciati in abbandono, pertanto non c’è una goccia d’acqua. Per abbeverare gli animali pertanto dobbiamo servirci di quelli di Aielli. Eppure la tassa per l’uso civico al Comune la paghiamo. Tassa che è pure aumentata. Lo scorso anno, ad esempio, un allevatore con 200 ovini ha pagato 300 euro. Quest’anno ne paga 400. Con la lana andiamo in perdita. Ogni pecora produce 4 chili di lana. Ogni chilo viene pagato 20 centesimi. L’introito complessivo, dunque, è di 80 centesimi. Nel 1950 con la vendita della lana di una pecora si poteva acquistare una coppa di terra (circa 500 metri quadrati). Oggi», aggiunge l’allevatore, «non basta neppure a pagare il tosatore che per ogni capo arriva a chiedere 2,50 euro. Poi vi sono pure i furbetti: per usufruire dei contributi comunitari dichiarano di portare all’alpeggio un certo numero di animali. Capita però che se ne portino di meno e si incassino ugualmente i soldi».
Nasce da qui la sollecitazione ai comuni territorialmente competenti a predisporre una serie di controlli volti ad accertare se il numero dei capi di proprietà di ciascun allevatore corrisponda davvero a quanto da loro dichiarato».
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