Buttafuoco: all’Aquila la cultura è lanciatissima, qui si costruisce l’avvenire 

Il nuovo presidente del Tsa: in città esiste un pubblico delle arti che è esigente e merita una qualità sempre più alta.  Fascismo e antifascismo? Sorpassati

L’AQUILA. Guai a definirlo intellettuale. È una definizione che non gradisce e te lo dice con rigorosa, elegante chiarezza: «Sono terrorizzato dagli intellettuali». Pietrangelo Buttafuoco è il nuovo presidente del Teatro stabile d’Abruzzo.
La sua nomina – formalizzata ieri – ha prodotto curiosità e apprezzamento. Del resto, si può condividere ciò che afferma o dissentire dal suo modo di pensare, ma appare arduo ignorare lo spessore culturale e la personalità di questo scrittore, giornalista, autore, performer siciliano noto al grande pubblico per l’arguzia delle sue apparizioni televisive e per la sua disinvolta dissacrazione della mediocrità.
Gli comunichiamo in diretta la formalizzazione della sua nomina da parte della giunta regionale e sussurra un laconico «Bene!».
Buttafuoco, questa nomina arriva in un momento decisivo per il rilancio della cultura in una città che di cultura si è sempre nutrita. Quale la strada da seguire? E quale ruolo può avere il Teatro stabile d’Abruzzo in tutto ciò?
«Tenere dritta la barra della comunità della polis, di una pluralità che interviene sui presìdi fondamentali: il teatro, il cinema, la libreria, che hanno una pari dignità come le caserme, le farmacie. Cioè i luoghi in cui la comunità, la socialità costruisce l’avvenire».
Un siciliano all’Aquila. Il suo rapporto con l’Abruzzo è stato costante. Dalle occasioni di convegni e incontri culturali ad amicizie personali. Che pensa dell’Abruzzo e degli abruzzesi?
«Un rapporto che avevo da ragazzo, quando avevo curiosità intellettuali. Ripenso a confronti, incontri, luoghi, a costruire, pensare, come la macchina di Heidegger, attraverso paesaggi straordinari che appartengono alla mia formazione fondamentale. Il Tsa mi coinvolge perché legato a un genio assoluto del Novecento come Carmelo Bene. Il trauma del terremoto, poi, è l’elemento fondante di questo avvenire. La cosa che mi affascina è che lì sperimenti quello che ovunque in Italia è assente, manca. Ed è questa idea di una comunità che si sta mettendo alla prova anche attraverso i passaggi fondamenti della costruzione. L’Italia intera avrebbe bisogno di manutenzione. Quel che trovi in Abruzzo non c’è da nessuna parte, l’avvenire è qui e non altrove. E poi intrattengo un’amicizia personale importante e sincera con Nazzareno Carusi, pianista e uomo di grande cultura, insieme al quale ho portato in scena uno spettacolo incentrato su William Shakespeare e su conversazioni d’amore e non solo».
Il Festival degli incontri, molto discusso, ha sancito un punto di rottura tra organizzatori e sindaco. Come si può risolvere la situazione evitando ulteriori strascichi polemici?
«Si risolve nell’unico modo, che è quello di assicurare la pluralità: è un servizio pubblico e non può essere una messa cantata a senso unico, come avviene con il Salone del libro di Torino. Nessuno può pretendere di rappresentare il pensiero unico. Per fortuna, l’Italia è la terra dei mille campanili, di una infinità di piazze, di strade e di tanti cortili che sono espressione della creatività. Ebbene, non possono essere messi sotto la cappa del pensiero unico. Il parametro dello spirito critico non può essere la scaletta di Fabio Fazio, perché in agguato c’è il mostro del conformismo. Se mi invitasse? È ontologicamente impossibile».
I fondi ministeriali per le istituzioni culturali cittadine sono sempre più risicati. Anche per un ente come il Tsa, dunque, nasce l’esigenza di un’efficace autopromozione per entrare a pieno titolo nei circuiti internazionali. Come ci si può muovere?
«Intanto, una cosa mi ha subito colpito ed è a merito di chi mi ha preceduto. È un luogo ricco di abbonati, una buona salute che deriva dall’entusiasmo e dalla partecipazione della città. E questo fa molto, è un po’ come quando ci si lamenta che nessuno legge i libri e compra i giornali. Questo perché non esiste un pubblico per i lettori e per l’editoria. Qui, grazie a Dio, esiste un pubblico delle arti che è esigente e che quindi merita una qualità sempre più alta».
In questo periodo si parla molto di fascismo e antifascismo. Lei ha definito quest’ultimo la vedette, da tirar fuori quando lo spettacolo langue. Molte istituzioni culturali aquilane, storicamente, hanno una matrice progressista. Una persona di destra come lei quale tipo di rapporto intende incardinare?
«È patetico e triste che nel 2020 ancora si faccia durare il Dopoguerra. Mi annoia profondamente, appena sento fasc.. e antifasc.. mi blocco in uno sbadiglio».
Se dovesse immaginare una strada da tracciare per il rilancio della cultura aquilana, quale indicherebbe?
«La cultura aquilana? Non è necessario un rilancio, è già lanciatissima».
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