Carriole con dentro i pezzi di città

Momenti di tensione con la polizia all’ingresso di piazza Palazzo. Tra i manifestanti anziani e bambini. In seimila invadono la zona rossa: catena umana per rimuovere macerie. Fischi al "Federico II" consorzio degli indagati

L’AQUILA. La carriolina quella del mare, rossa e gialla, è di Davide, tre anni e mezzo e tre sampietrini tre che vanno di qua e di là, ché ci stanno larghi in questo cassone piccolo piccolo che vorrebbe contenere tutta L’Aquila. Davide Baldacci attraversa il corso tra due ali di folla che applaude. Lui è uno dei seimila, o forse più, che fanno la catena umana passandosi callarelle e secchi coi pezzi di città.

LA PROTESTA, LA FESTA. Non è solo il terremoto, allora, la forza capace di portare migliaia di aquilani in piazza. Anche stavolta, per la terza domenica consecutiva, è l’amore per la città che fa uscire la gente dalle case, più o meno provvisorie, ma anche tornare dal mare, esilio forzato e non voluto, o venire dalla Francia, come quegli emigranti che si mettono all’altezza del vecchio cinema Imperiale e si danno un gran daffare nel passarsi i secchi. L’hanno chiamata la rivolta delle carriole, ma qui di rivolta c’è ben poco. Solo un accenno, una scintilla. «Aprite», «Aprite». Dovevano entrare 15 alla volta e massimo 45. Schedati e controllati. Ma vallo a dire a migliaia di persone che portano la pala in spalla, ma non la vogliono dare in testa a nessuno. Alle 9,45 piazza Duomo è già mezza piena. Il «popolo delle carriole», armato di caschetti protettivi, guanti da lavoro, secchielli e pale, viene svegliato da un Sms che «entra» alle 8 in punto in migliaia di cellulari. «Sveglia, rìzzete e ve’ a lavora’ pe’ sgombra’ L’Aquila dalle macerie». C’è chi firma la petizione da mandare a Berlusconi per la tassa di scopo e chi si mette in fila per entrare a piazza Palazzo. Manifestazione a numero chiuso? Impossibile. Lo capisci già alle 10,50, quando parte la prima «squadra» di operai in tuta bianca.

Il grido è questo: «Voglio andare in piazza a lavorare. La mia città devo liberare». «L’Aquila libera. L’Aquila libera», quello stesso grido portato la scorsa estate fin sotto a Montecitorio, pare gonfiare ancora di più quelle colonne fasciate davanti alla cassa di risparmio. Qui la prima «stazione». Davanti allo striscione del consorzio Federico II, un mix di imprenditori aquilani e di indagati toscani della Btp, accusati di corruzione nell’inchiesta sugli appalti del G8, bordate di fischi. «Gli sciacalli c’erano eccome. Fuori gli sciacalli dall’Aquila». Pochi metri ed ecco che le carriole sono già ai Quattro cantoni. La prima «vasca» è fatta. Le cancellate, chiuse, reggono le chiavi coi nastrini lasciate da chi, in casa sua, non ci può rientrare.

Poliziotti, carabinieri e militari provano a contare gli «autorizzati». Ma la folla preme e grida: «Aprite». Alle 11,03 il primo tentativo di superare le transenne. La folla cresce e rumoreggia. Da dietro spuntano pure i celerini. Ma resteranno inoperosi. Come tre e due domeniche fa, quelle cancellate cadono. Alle 11 e un quarto il blocco è di nuovo forzato. Ma senza il minimo contatto, senza alcun tipo di incidente. Il questore Stefano Cecere dà gli ordini sul campo: i celerini, alla fine, li sistemano davanti all’«Angelo muto», la vecchia fontanella sotto al vecchio liceo Classico dove ogni aquilano doc ha messo i denti sotto l’acqua gelida almeno una volta nella vita. Una domenica tranquilla per tutti: qui non è mica la curva Sud.

La polizia non oppone resistenza all’«invasione» ed ecco che comincia lo smaltimento. In un attimo piazza Palazzo è piena di gente. I primi sono già sui mucchi. «Ma non era roba sotto sequestro?». La polizia s’informa: negativo. Allora, in pochi attimi, tutti sanno cosa fare. «I coppi no, i coppi no». Tutto viene fatto con cura e con estrema cautela.

BRACCIA E CUORE. C’è chi scatasta il materiale, chi lo separa, chi lo carica e chi lo trasporta. E sempre in un attimo, da piazza Palazzo a piazza Duomo si forma, spontanea, una catena umana mai vista prima d’ora all’Aquila. Una mobilitazione di piazza senza precedenti. C’è il giovane, il medico, l’avvocato, l’ingegnere, la casalinga, il turista, il curioso, il bambino, l’anziano, il professore universitario. C’è anche Giuliani, l’uomo del radon. In tanti gli chiedono: «Che aria tira?». Tutta gente che magari nemmeno si conosce e che fa amicizia adesso, oppure che si rincontra proprio qua, sotto il sole che ormai, passato mezzogiorno, già riscalda i volti degli aquilani. La doppia fila umana è una catena di montaggio. Da un lato passano i secchi pieni, dall’altro tornano quelli vuoti. Un meccanismo perfetto. Dicono al megafono: «Le macerie? Datele a noi, che le sappiamo trattare». Ogni carriola che passa è un applauso. Più forte di tutti quello per i bambini. Poi le mani tornano a stringersi ai manici delle callarelle. Passaggio obbligato sotto allo striscione «SpaliAmo L’Aquila» che viene varcato come se fosse il traguardo volante di una tappa senza fine. Si aggira pure Sabina Guzzanti coi microfoni aperti. Insegue Cialente, avvistato fuori fila. Nuove proteste, poi, contro Minzolini e il Tg1. C’è una troupe tedesca. Incrocia Antonio Papponetti, vicepresidente, aquilano, del settore tecnico della Figc appena sbarcato da Coverciano.

LA LAVATRICE. Lampadari, persiane spaccate. Una lavatrice scassata. Eppoi, vecchi libri e quaderni, tegole rotte. Persino una bottiglia d’olio d’oliva rimasta intatta. Pezzi di una storia da rimettere insieme. C’è di tutto nelle macerie, con la lana di roccia che si frantuma al vento e la gente lì a respirare. I materiali vengono differenziati. Proprio come fanno i 30 dipendenti Asm che lavorano all’ex Teges, nell’unico sito finora attivato per il trattamento. Dopo quasi 11 mesi. In piazza Duomo, stazione d’arrivo, i primi cassonetti sono pieni alle 12,30. Il passamano va avanti per un’altra oretta. Poi la catena umana si scioglie. Senza un segnale. «Ciao, ci vediamo domenica al Castello». Viene diffuso il volantino della manifestazione nazionale «Presidio della Memoria-Legalità-Verità-Giustizia» in programma il 6 marzo alle 17, la fiaccolata Fontana luminosa-Collemaggio.

TUTTI ALLA VILLA. La manifestazione si chiude con un altro gesto simbolico. Alcune carriole vengono portate fino alla Villa, e svuotate proprio davanti all’Emiciclo, sede del consiglio regionale. Un gesto per ricordare alle istituzioni che «se non si tolgono le macerie la ricostruzione non parte». E infatti non è partita. Il centro si svuota al grido di «L’Aquila, L’Aquila». Resta un capannello attorno al sindaco. «Ma i pedaggi gratis?». «Ma le case per i single?». «Ma le macerie?». E giù un rosario di richieste di tutti i tipi.

TORNANO I PICCIONI. Chiude il varco dei Quattro cantoni che mancano sette minuti all’una. A guardia delle cancellate ballerine restano, ora, soltanto le mille chiavi, con mille nastrini colorati e mille messaggi d’amore per la città ferita. I mucchi di macerie, sì, sono calati di un po’. Almeno quelli sotto al Comune. Ma ancora tanto c’è da fare. E quest’altra parte, il grosso, non tocca certo ai cittadini. Intanto, i più contenti che la gente se ne vada finalmente a pranzo sono forse proprio quei piccioni che tornano a svolazzare. Padroni assoluti di quelle montagne di detriti spazzate dal vento della Montagna vera, il Gran Sasso. Un anziano si volta verso la statua di Sallustio e dice: «Un’altra ora e ti spiccavamo pure a te!».