L'INCHIESTA

Chiedevano il pizzo per la camorra: confisca da 30 milioni, sequestri anche nell'Aquilano

Nei guai due imprenditori vicini al clan Belforte: sequestrate una Ferrari, una Porsche, tre barche e diversi immobili ubicati anche all'Aquila 

L'AQUILA. Coinvolge anche la provincia dell’Aquila, l’operazione congiunta della Direzione investigativa antimafia e della guardia di finanza di Caserta che hanno eseguito un decreto di sequestro beni e di sottoposizione all’amministrazione giudiziaria di aziende, per un valore di 30 milioni di euro, nei confronti di due fratelli imprenditori operanti nei settori del cemento e della ristorazione del casertano, ritenuti contigui al clan camorristico Belforte.

Nel dettaglio si tratta di 3 società e 75 beni immobili ubicati nelle province di Caserta, Benevento, Salerno, L’Aquila e Parma (18 terreni, 18 abitazioni, 2 opifici industriali, 36 garage/magazzini ed 1 multiproprietà in costiera amalfitana), nonché 99 rapporti finanziari e 10 beni mobili registrati (5 autovetture, tra cui una Ferrari ed una Porsche, 3 imbarcazioni e 2 rimorchi).

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La contiguità dei destinatari del decreto all’organizzazione camorristica denominata clan Belforte è emersa nell’ambito di una inchiesta giudiziaria svolta nel 2014 dalla Squadra Mobile di Caserta con il coordinamento dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli e definita processualmente nel 2016 per uno dei due proposti con sentenza di condanna a 8 anni di reclusione e 8milioni di euro di multa del Gip del tribunale di Napoli.

Pronuncia sostanzialmente confermata nel 2017 dalla Corte di Appello del capoluogo campano che gli comminava una pena ad anni 5, mesi 5 e giorni 10 di reclusione e 4milioni 600mila euro di multa.

In particolare è stata riscontrata, anche grazie alle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, una strutturata modalità di riscossione del pizzo tramite l’azienda facente capo agli stessi. Infatti il meccanismo criminale ideato da costoro, definiti anche “le spie del pizzo”, si realizzava sia mediante sovrafatturazione degli importi dovuti “gonfiando” i costi rispetto alle effettive forniture per consentire la creazione di “fondi neri” destinati al pagamento delle estorsioni, sia attraverso l’organizzazione di incontri tra gli estorti e gli appartenenti al clan. Tale sistema era così collaudato che gli imprenditori che avviavano nuove attività talvolta si rivolgevano spontaneamente ai predetti affinché indicassero i referenti dell’organizzazione da contattare per “mettersi a posto”.

 

 

 

 

 

 

La contiguità dei due fratelli all'organizzazione camorristica denominata clan “Belforte” è emersa nell’ambito di una inchiesta giudiziaria svolta nel 2014 dalla Squadra Mobile di Caserta con il coordinamento dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e definita processualmente nel 2016 per uno dei due proposti con sentenza di condanna a 8 anni di reclusione e 8.000,00 euro di multa del G.I.P. del Tribunale di Napoli. Pronuncia sostanzialmente confermata nel 2017 in seconde cure – divenuta irrevocabile nel 2018 – dalla Corte di Appello del capoluogo campano che gli comminava una pena ad anni 5, mesi 5 e giorni 10 di reclusione e 4.600,00 euro di multa. In particolare è stata riscontrata, anche grazie alle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, una strutturata modalità di riscossione del “pizzo” tramite l’azienda facente capo agli stessi. Infatti il meccanismo criminale ideato da costoro, definiti anche “le spie del pizzo”, si realizzava sia mediante sovrafatturazione degli importi dovuti “gonfiando” i costi rispetto alle effettive forniture per consentire la creazione di “fondi neri” destinati al pagamento delle estorsioni, sia attraverso l’organizzazione di incontri tra gli estorti e gli appartenenti al clan. Tale sistema era così collaudato che gli imprenditori che avviavano nuove attività talvolta si rivolgevano spontaneamente ai predetti affinché indicassero i referenti dell’organizzazione da contattare per “mettersi a posto”. L’odierno Provvedimento ha comportato il sequestro di beni e l’amministrazione giudiziaria di imprese per un valore complessivo stimato in circa 30 milioni di euro interessando quanto risultato nella disponibilità, diretta ed indiretta, di uno dei suddetti imprenditori. Nel dettaglio si tratta di 3 società e 75 beni immobili ubicati nelle province di Caserta, Benevento, Salerno, L’Aquila e Parma (18 terreni, 18 abitazioni, 2 opifici industriali, 36 garage/magazzini ed 1 multiproprietà in costiera amalfitana), nonché 99 rapporti finanziari e 10 beni mobili registrati (5 autovetture, tra cui una Ferrari ed una Porsche, 3 imbarcazioni e 2 rimorchi). Con riferimento all’altro proposto è stata invece disposta l’amministrazione giudiziaria per il periodo di un anno delle 6 aziende a lui riconducibili. Quest’ultima misura di prevenzione, eminentemente deputata al contrasto delle contaminazioni dell’attività di impresa da parte della criminalità organizzata, è volta al possibile recupero dell’azienda alle fisiologiche regole del mercato allorquando risulterà eliminata l’ingerenza dei soggetti portatori di pericolosità.