Muhamet Ibra ha tentato di salvare i due muratori travolti nel crollo dell’abitazione

L'AQUILA

Il collega degli operai morti: "Mi parlavano e ho sperato di salvarli"

La tragedia di San Pio delle Camere: "C’erano strane vibrazioni, poi è venuto giù tutto. Sfiorato dalle pietre, mi sono lanciato contro un muro pensando alle mie bimbe"

SAN PIO DELLE CAMERE . "Toglimi questa pietra di dosso". Dzevdet Uzeiri non riuscirà a dire altro. Morirà pochi minuti dopo. E l’uomo che ha raccolto le sue ultime parole, Muhamet Ibra, non potrà fare altro che vederlo morire. "Pensavo di salvarlo, ci ero quasi riuscito", racconta Muhamet, tutto sporco di polvere e con la voce rotta dall’emozione. "Gli avevo anche dato la mascherina che mi aveva passato un vigile del fuoco. E lui, anche se era semisepolto dalle macerie, mi aveva aiutato a tenere ferma la lampada per fare un po’ di luce. Aveva la testa fuori, parlava. Poi ha smesso, e un paio di minuti dopo mi sono accorto che era morto".

Muhamet e Dzevdet erano anche vicini di casa, vivevano tutti e due nei Map, i moduli costruiti dopo il sisma del 2009 a Castelnuovo, una frazione di San Pio delle Camere. "E pensare che lo avevo incontrato al bar, poco prima di andare al lavoro". Dalla porta al piano terra della casa crollata c’è un via vai di soccorritori. Anton Krygja esce e si siede in un angolo, la testa fra le mani. "Forse mi ha salvato il pensiero delle mie due bambine", racconta, "stavamo facendo una gettata di cemento. Sentivo delle strane vibrazioni, e mi ero accorto che qualcosa non andava, avevo appena fatto in tempo ad avvertire i colleghi che è venuto giù tutto. Non ho potuto fare altro che buttarmi contro una parete e lanciarmi fuori mentre le pietre venivano giù. Le ho sentite che mi sfioravano la testa e colpivano la gamba".

Dentro la casa c’era un altro operaio, che in mezzo alla polvere è riuscito a lanciarsi in un cunicolo laterale e si è salvato. Anton vive all’Aquila da più di 20 anni, è arrivato in Abruzzo dall’Albania che di anni ne aveva solo 14. Oggi ha due figlie piccole ed è sposato con una ragazza di Tornimparte: "Lavoravo con Cristian e Dzevdet da più di 6 anni e mezzo. Per me erano come fratelli".

Tra le tante persone fuori, ad aspettare gli eventi in un turbine di emozioni, tra la speranza nel vedere i soccorritori che si agitavano e prendevano le sacche con i medicinali, e la delusione nel vederli tornare indietro senza aver potuto fare nulla, c’è anche chi si chiede che senso avesse riparare vecchie case senza alcun valore storico, invece di buttarle giù e ricostruire tutto nuovo. Sotto le case di San Pio ci sono delle grotte che attraversano zone dove i palazzi sono cresciuti affastellati, uno sull’altro, e gli operai raccontano di case vecchie che si tenevano insieme con una specie di terra nera che sembrava sabbia bagnata. "Perché riparare case tanto malridotte", è la domanda che circola tra le persone in attesa, "che poi la gente muore". Marcello Aloisio è il titolare
della ditta Habita che si stava occupando dei lavori. A San Pio lo dipingono come una persona scrupolosa e molto precisa sul lavoro. L’avvocato Rodolfo Ludovici è l’amico di famiglia arrivato sul posto per dare un supporto: "Marcello è disperato, quegli uomini per lui erano come figli". (r.p.)